Vergogna: fenomenologia, cultura,

società e salute mentale

tommaso b. jannini, cinzia niolu, alberto siracusano

Dipartimento di Medicina dei Sistemi, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”




RIASSUNTO

La vergogna è un disagio suscitato dalla coscienza o dal timore di aver compiuto un’azione che causa la riprovazione degli altri. È un sentimento che richiede una capacità cognitiva strutturata, consapevolezza di sé in relazione all’altro e al mondo.

Nel corso della vita, la vergogna attraversa diverse fasi. Nei bambini si verifica quando loro percepiscono di non essere adeguati a quanto richiesto dal mondo degli adulti o dal gruppo dei pari. Caratteristica, è “la fase dello specchio”, momento in cui il bambino si guarda e si riconosce. Nell’adolescenza, la vergogna è un’esperienza psichica di ansia provocata dall’esporsi in contesti sociali e dal non sentirsi all’altezza dei modelli di riferimento e prevalenti in una determinata comunità. In termini sessuologici, la vergogna si trasforma in pudore, in riserbo e disagio nei confronti di parole, allusioni, comportamenti che riguardano la sfera sessuale.

La vergogna fa parte della nostra cultura, antica e moderna: da quella dell’epos omerico a quella biblico-cristiana, da quella della società occidentale a quella orientale, da quanto accade nella nostra vita quotidiana a quanto si verifica sui social network. La vergogna è una dimensione psicopatologica che può fortemente influenzare la nostra salute mentale.

Parole chiave: vergogna, fenomenologia, psicoterapia, psicoanalisi.



SUMMARY

Shame: phenomenology, culture, society and mental health

Shame is a feeling of discomfort caused by the awareness or fear of having performed an action that causes disapproval from others. It is a feeling that requires a structured cognitive capacity and self-awareness of the others and the world.

During life, shame goes through several stages. In children, it occurs when they perceive that they are not adequate for what is required by the adult world or the peer group. Characteristic is the “mirror phase”, i.e., the moment in which the child looks and recognizes himself in the mirror. In adolescence, shame is a psychic experience of anxiety caused by exposure to social contexts and not feeling up to the reference models prevalent in a given community. From a sexological point of view, shame is transformed into modesty, reserve, discomfort towards words allusions, and behaviors that concern the sexual sphere.

Shame is part of our culture, ancient and modern: from that of the Homeric epos to the biblical-Christian tradition, from that of Western to Eastern societies, from what happens in our daily life to what happens on social networks. Shame is a psychopathological dimension that can easily influence our mental health.

Key words: shame, phenomenology, psychotherapy, psychoanalysis.



introduzione

Secondo il vocabolario Treccani, la vergogna è un sentimento più o meno profondo di turbamento e disagio suscitato dalla coscienza o dal timore della riprovazione di altri per un’azione.1 Questa accezione moderna e occidentale mostra come tale movimento dell’anima non faccia parte del nucleo di emozioni primarie, incontrollabili, involontarie, ma soprattutto interiori, quali la rabbia, la felicità, il disprezzo, la tristezza, la sorpresa o il disgusto. Per definizione, queste emozioni sono innate e riscontrabili al di là della cultura e del contesto sociale di appartenenza, presenti fin dalla nascita in tutti i mammiferi e connesse all’istinto di sopravvivenza e di adattamento.2 Al contrario, le emozioni secondarie, fra cui la vergogna, ma anche l’imbarazzo, la timidezza, la colpa, l’orgoglio, si sviluppano più tardi nell’infanzia, di solito a partire dal secondo anno di vita, e richiedono una maggiore capacità cognitiva e una consapevolezza di sé in relazione all’altro. Inoltre, le emozioni secondarie hanno differenze sostanziali tra le diverse culture, a seconda dei valori e della morale vigente.3

Nel mondo antico, ad esempio, la vergogna assume un significato particolare. Secondo Platone,4 Zeus, dopo aver creato gli esseri umani dal fango, incaricò il titano Prometeo di distribuire doni e abilità alla neonata stirpe dei mortali. Il padre degli dèi, affinché gli uomini potessero vivere in società, ordinò in particolare che venissero date loro AidwV (la “vergogna”) e Dikh (la “giustizia”). La vergogna in Grecia era infatti parte essenziale del viver sociale. Eric Dodds, nel suo saggio I Greci e l’Irrazionale, coniò la definizione di shame-culture “cultura della vergogna” per definire il sistema di valori tipico dell’epoca arcaica.5 Nella prospettiva della Grecia omerica (VIII sec a.C.) il termine dwV descrive l’atteggiamento che si sviluppa in un soggetto nel momento in cui si rende conto che un proprio comportamento, per qualsivoglia ragione proibito, o comunque inviso alla società, sarà oggetto di biasimo. La “cultura della vergogna” si fonda sul concetto che il pensiero e l’agire dell’uomo siano totalmente proiettati verso l’esterno, rapportati e assoggettati alla collettività. In altre parole, la sanzione per un comportamento errato non risiede nel senso d’indegnità e inadeguatezza che un uomo prova dentro di sé, bensì nel biasimo della comunità intera. In questo caso, non si parla di vergogna come uno stato d’animo o un’emozione ma, piuttosto, di un comportamento che va contro le regole della cultura sociale. AidwV non indica una condizione psicologica; è un principio morale che regola le relazioni di un individuo verso il mondo e costituisce verosimilmente il principio regolatore dell’equilibrio sociale, oltre che, come si vedrà, uno dei fondamentali motori dell’agire eroico.

L’uomo omerico è incessantemente condizionato da un costante senso di vergogna nei confronti dei simili, che siano essi concittadini o parenti stretti. Ettore, quando Andromaca lo esorta alla prudenza e lo invita a non esporsi al pericolo di rendere suo figlio Astianatte orfano nel combattimento contro Achille, ribatte sdegnato che allora ne avrebbe «vergogna davanti ai Troiani e alle Troiane dal lungo peplo».6 Ettore sa perfettamente che se dovesse sfuggire al combattimento sarà disonorato, “svergognato”, agli occhi dell’intero popolo troiano. La spinta interna che muove Ettore è principalmente dovuta al sentire di dover rispondere primariamente alla “cultura della vergogna” e anteporre questo valore alla sicurezza di sé e della sua famiglia. È la società che di volta in volta riconosce il valore e sanziona la violazione attraverso il discredito e il disonore; è il “pensiero della collettività” che stabilisce ciò che “va fatto” e ne “giudica” il valore.

In questi termini, ai dwV, il senso di vergogna, muta e si arricchisce dei caratteri dell’“onore”, del “rispetto”. Questo codice comportamentale è fortemente consolidato nell’eroe omerico e, come gli impone di scacciare il disonore, allo stesso modo lo spinge verso l’acquisizione della timh, la “pubblica stima”. L’agire dell’eroe omerico non è motivato dal raggiungimento di un’ipotetica serenità interiore, una tranquillità d’animo, bensì dalla necessità di «distinguersi sempre al di sopra di tutti gli altri e non macchiare di vergogna la stirpe dei padri, che furono grandi».6 Oltre la pubblica stima, l’eroe sente il bisogno di affermare, seguendo un dettame interiore squisitamente originale e generatore di non poche virtù peculiari della civiltà mediterranea e poi occidentale, la propria areth, il “valore personale”, per dimostrarsi degno, se non migliore, della storia della propria famiglia. È ciò che si compie in vita il valore personale e individuale che eleverà l’uomo a varcare le soglie dell’olimpo degli eroi.

L’eroe omerico dovrà anche dar prova di un riscontro tangibile, materiale: un geraV, un «trofeo». Questo è rappresentato dalla spartizione del bottino di guerra fra tutti coloro che hanno preso parte a un’impresa bellica. Agamennone riceve in premio Criseide, figlia del sacerdote Crise, ma è costretto a rinunciarvi per porre fine alla pestilenza lanciata da Apollo. Vistosi privato del proprio trofeo, il re degli Achei si rivale su Achille, pretendendo da lui il suo, la schiava Briseide. L’umiliazione di essere privato in pubblico del meritato premio spingerà il figlio di Teti a ritirarsi dalla guerra, adducendo i celeberrimi «infiniti lutti agli Achei».6,7 Tuttavia, quello che potrebbe apparire un banale comportamento infantile, un dispetto fra potenti, trova la sua spiegazione proprio nel concetto di cultura della vergogna. Entrambi gli eroi sanno che se non dimostreranno timh, areth e geraV saranno invisi e disonorati agli occhi della società.

Il concetto di vergogna così come vissuto drammaticamente nel mondo omerico – Menelao non accende la fiamma della più famosa guerra della storia per passione o nostalgia di Elena, ma per la vergogna di esser tradito – è destinato a cambiare nel corso dei secoli. La vergogna in epoca omerica è il punto di partenza di una parabola che porterà, già con Platone, dal lemma dwV a quello di aiscunh.8 Entrambi i termini condividono la stessa traduzione letterale, sebbene il significato del secondo sia di gran lunga più legato alla sfera soggettiva. In altre parole, la vergogna non ha più il carattere sociale proprio dell’epos eroico, ma assume una dimensione squisitamente emotiva, intima, personale, la stessa che avrà il termine pudor in epoca latina. La vergogna viene introiettata e diventa pietra d’angolo di quella costruzione mentale che chiameremo coscienza.

Questo radicale spostamento di baricentro condurrà l’antropologa Ruth Benedict a evolvere il termine “cultura della vergogna” in “cultura della colpa”, guilt culture,9 tipica delle civiltà moderne e in particolar modo cristiane. Nella “cultura della colpa”, se viene compiuta un’azione contro il codice di comportamento sociale stabilito, l’autore anche se non punito vivrà il senso di rimorso. Se la cultura della vergogna riguarda il rapporto tra l’uomo e la collettività, la sua evoluzione in un sentimento di vergogna-colpa-peccato, pone al centro l’uomo stesso e il suo sentire interiore, mettendo in secondo piano i valori della società. Con l’avvento del Cristianesimo, è il crearsi di “un’entità riparatrice” che giudica e punisce i colpevoli che condurrà ad un’ulteriore interiorizzazione del concetto di colpa e di vergogna. Giuda “il traditore fedele” è figura emblematica di questo percorso.10

Oggi, nella nostra società possiamo riconoscere tanto la “cultura della vergogna” quanto la “cultura della colpa”. Le moderne tecnologie e l’estrema diffusione dei Social network, dei media e della televisione permettono a tutti noi di diventare “eroi”, ad esempio, raggiungere un elevatissimo numero di followers o di diventare vittime degli haters.11 L’uso mediatico dell’hate speech, di insulti, di giudizi negativi su quello che fanno persone famose e non sta facendo scivolare la vergogna nel territorio della rabbia e dell’odio. Possiamo considerare così l’affetto vergogna come un insieme emotivo complesso di cui fanno parte la rabbia, l’odio, l’invidia e la mancanza di cultura.



fenomenologia

Buona parte della letteratura scientifica è concorde nel definire la vergogna un’emozione complessa, strutturata e di difficile elaborazione.12

La vergogna segue le diverse fasi del ciclo vitale. In età evolutiva, può derivare dalla inadeguatezza della percezione del proprio sé quando paragonato agli standard sociali e ambientali e del gruppo dei pari.

La vergogna viene fatta anche risalire alla fase in cui il bambino riconosce il suo volto nello specchio o, in senso più moderno, nello smartphone dei genitori.

La vergogna si rinforza quando il complesso di norme morali è interiorizzato e costituisce il patrimonio ideo-affettivo del bambino/ragazzo adulto. Va fatta molta attenzione ai richiami educativi che possono indurre nel bambino/ragazzo sentimenti di colpevolizzazione che non è in grado di elaborare.

Allo stesso tempo, è necessario trovare modalità di trasmissione dei principi educativi che permettano una crescita equilibrata e in armonia con le regole della società.

Durante l’adolescenza la vergogna si definisce in senso più completo e può rappresentare una modalità per strutturare in maniera più matura il senso di noi stessi. Ad esempio, l’adolescente che si misura con il mondo esterno da un lato può vivere sentimenti di fobia sociale che però possono essere utilizzati, affrontati ed elaborati adeguatamente per la crescita.

Infine, va ricordato che la vergogna è un sentimento fortemente collegato alla percezione dei vissuti del proprio corpo e alla sessualità.

È nel libro Terzo della Genesi che troviamo il riferimento alla vergogna in relazione al Peccato Originale, «si aprirono gli occhi di tutti e due (di Adamo ed Eva, ndr) e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture»: nascono così vergogna e in termini sessuologici il pudore.13

Il pudore è definito dal vocabolario Treccani un “senso di riserbo e di disagio nei confronti di parole, allusioni, atti, comportamenti che riguardano la sfera sessuale”,1 come la vergogna, è un fenomeno tutt’altro che statico, condizionato dalla cultura predominante delle diverse aree geografiche e socio-culturali.



la vergogna come dimensione psicopatologica

della salute mentale

La dimensione della vergogna può essere analizzata con misure self-report. Queste scale psicometriche possono essere di due tipi: una, basata sull’esperienza che il paziente vive e sente nella vita quotidiana (ad es. ‘mi sento piccolo’, o ‘mi sento umiliato’, ecc.), oppure, attraverso le risposte che vengono date di fronte a possibili situazioni che suscitano vergogna (essere tradito da un amico, appartenere a una certa etnia, ecc.).14

La vergogna, quando è disfunzionale, si colloca fra quelle dimensioni psicopatologiche che determinano la salute mentale di un individuo; è possibile riconoscere l’emozione vergogna in diversi disordini psicopatologici.

Fra tutti, i disturbi affettivi, quali ansia e depressione, sono quelli a cui la vergogna è più strettamente correlata. Da un punto di vista teorico, la vergogna può esacerbare i sintomi della depressione e dell’ansia, alimentando distorsioni cognitive di sé stabili, pervasive e negative.15 Queste auto-attribuzioni negative (ad es. ‘sono una persona cattiva e lo sarò sempre’) possano aumentano il rischio di sviluppare sintomi depressivi e contribuiscono allo sviluppo di sentimenti di impotenza e disperazione.16 Inoltre, possono dare origine a comportamenti di evitamento, sentimenti di inferiorità, e di paura immotivata: tutte caratteristiche di una sintomatologia ansioso-depressiva.17 È importante sottolineare che la percezione negativa del sé, caratteristica della vergogna depressiva e ansiosa, va ad alimentare ulteriormente i pregiudizi e le incertezze provocate dalle distorsioni cognitive (“sembro noioso perché dico sempre cose stupide davanti alle persone: è per questo che nessuno mi invita alle feste”).16,18

Recenti studi su gemelli omozigoti hanno anche dimostrato che la vergogna, oltre a poter predisporre verso lo sviluppo di episodio depressivo nella vita adulta, ha una componente ereditaria di grado moderato.19

La vergogna è associata a diversi disturbi di personalità; è presente nel disturbo evitante di personalità, e in maniera marcata anche nelle persone affette da disturbo borderline e narcisistico di personalità. Spesso è il sentimento che contraddistingue uno schema di pensiero dominato dall’inadeguatezza. Nel vivere quotidiano, borderline e narcisista tendono a esperire un tipico vuoto relazionale e affettivo, derivato, nel primo caso, da uno stile di attaccamento disorganizzato, mentre nell’altro, da frequenti aspettative disattese e mai all’altezza dei propri standard. Per contrastare il senso di inadeguatezza, inferiorità e vergogna che ne deriva, queste persone sono spesso portate ad assumere condotte d’abuso, self-cutting, o a ricercare perfezione in ogni aspetto della vita quotidiana.20 

Alla base dei disturbi alimentari e della nutrizione è frequente vedere una disregolazione emotiva che favorisce lo sviluppo e il mantenimento di severe psicopatologie come l’anoressia o la bulimia nervosa.21,22 Secondo Goss e Allan esisterebbero due forme di vergogna, quella esterna e quella interna. La prima, prevalentemente generata dall’opinione e dal giudizio degli altri, sembra essere associata allo sviluppo di anoressia nervosa, mentre la seconda, legata più all’autosvalutazione e alla percezione di se stessi come inadeguati, è più correlata alla bulimia nervosa.23

Altri autori suggeriscono come le avversità infantili (quali abusi fisici o sessuali), combinate con canoni culturali ed estetici, sono alla base dei pensieri di vergogna nella la vita adulta.24 Questi pensieri, attraverso un circolo vizioso, generano una maggiore vulnerabilità individuale che si cerca di compensare attraverso interventi di cambiamento sul proprio corpo. Il successo di queste persone nella gestione del proprio peso porterebbe a sentimenti di “orgoglio effimero”. Un eventuale fallimento genera ulteriori esperienze di vergogna, portando così a un ciclo vergogna-orgoglio che mantiene il disturbo alimentare e lo cronicizza.25

Infine, la fobia sociale è radicata su intensi sentimenti di vergogna e inadeguatezza. I pazienti con fobia sociale sono pervasi da una pessima stima di se stessi e dal costante pensiero di essere rifiutati, sviliti e scherniti dagli altri. In più, spesso il soggetto è portato a credere che vergognandosi confermerà il giudizio altrui circa la propria inferiorità, un fenomeno noto come metavergogna.12 Vergogna e metavergogna si autoamplificano e si autorigenerano, fino a “convincere” la persona di essere inferiore e inadeguata rispetto agli altri.

Studi recenti hanno evidenziato le basi neurobiologiche della vergogna.26 Fra le regioni coinvolte, l’insula, il cingolo anteriore, l’ippocampo e la corteccia dorsolaterale prefrontale mostrano una significativa attivazione nell’esecuzione dei vari compiti che evocano questo sentimento. L’insula, in particolare, sembra avere una funzione importante nel processamento di empatia, incertezza e disgusto in svariati contesti sociali.27 La corteccia cingolare anteriore, invece, è stata associata all’esperienza del ‘dolore sociale’, ovvero un malessere psicologico che deriva dall’emarginazione e dall’esclusione sociale.28 Allo stesso modo, l’ippocampo è implicato, sia nel processamento emotivo, che nella regolazione dello stress psicosociale,29 mentre la corteccia dorsolaterale prefrontale è la sede di gran parte dei processi di controllo cognitivo dei comportamenti umani.30 

In ultima analisi, è lecito ipotizzare un coinvolgimento del Default Mode Network, il sistema “intrinseco” specializzato in processi cognitivi orientati all’interno, come il sogno ad occhi aperti, il ricordo e la pianificazione futura, nella genesi della vergogna.31 Nodi neurofunzionali come quelli descritti, la corteccia prefrontale, il cingolo e l’ippocampo, sono fra le principali strutture di questa resting-state network, le cui funzioni risiedono nel mind-wondering e nella riflessione personale. Vergognarsi implica eseguire una riflessione su di sé e sulle proprie esperienze, ponendo queste a confronto con norme morali e aspettative sociali.26



vergogna e psicoterapia

La riflessione psicanalitica si è molto interessata alla vergogna, ritenuto un elemento di strutturazione dell’identità personale, anche se inizialmente era stata definita da Rycroft “Cenerentola delle emozioni spiacevoli”, vista la maggiore attenzione dedicata ai sentimenti di colpa.32

Freud nella “Minuta K” parla della vergogna come un affetto con la potenzialità di innescare, allo stesso modo della moralità, meccanismi di difesa.33 Questo sentimento ha il compito di favorire e mantenere la rimozione di impulsi esibizionistici proibiti. Nell’“Introduzione al Narcisismo”, introduce il concetto di “Ideale dell’Io”, istanza della personalità in cui confluiscono idealizzazione di se stessi, le identificazioni con i genitori, con i loro sostituti, nonché gli ideali collettivi.34 L’Ideale dell’Io è un nucleo di onnipotenza narcisistica necessario per costruire la fiducia in sé e «la convinzione magica della propria invulnerabilità e immortalità».35 Le funzioni svolte dall’Ideale dell’Io in molte occasioni si faranno notare per la loro crudeltà e insindacabilità qualora non si risponda alle sue richieste, provocando così sentimenti di inadeguatezza e vergogna. La vergogna è un affetto che verrebbe evocato ogniqualvolta i fini e le immagini rappresentati dall’Ideale dell’Io non siano raggiunti dall’Io.

Secondo Jung è il contatto con la propria Ombra, figura proiettata sulla parete che ci segue costantemente a generare i vissuti di vergogna,36 utili questi per maturare la crescita psicologica personale attraverso l’auto-consapevolezza e una maggiore conoscenza di sé.37

Donald Campbell fa notare che la radice indoeuropea kam/kem della parola “vergogna” (shame in lingua d’oltremanica) è riferita all’atto di “coprirsi”, “velarsi”, “nascondersi”, è uno scudo psichico che si sviluppa in età evolutiva per proteggere e nascondere incertezze ed emozioni interne. Questo atto di segretezza riporterebbe il Sé in un luogo privato e sicuro, dove può essere revitalizzato quando la situazione psichica lo richiede.38 Per Erikson, «chi si vergogna vorrebbe impedire che il mondo lo guardi e noti la sue esposizione; vorrebbe distruggere gli occhi del mondo».39 I vissuti traumatici, ad esempio gli abusi sessuali infantile, distruggono questi luoghi interni di riservatezza e provocano affetti fortemente critici e di disgusto verso sé stessi come anche costituiscono il terreno sul quale si sviluppa il falso sé.40

Sidney Levin osserva che la vergogna nel lavoro della psicoterapia può lenire i vissuti di vergogna attraverso la verbalizzazione e la relazione empatica. È importante che lo psicoterapeuta mantenga sempre una posizione neutrale in modo tale da non assumere alcun ruolo giudicante e al contrario favorire la narrazione e la libertà dei sentimenti.41 

Paul Gilbert, ideatore della compassion-focused therapy (CFT),42 ha ipotizzato la necessità che la relazione terapeutica promuova una inner voice più calda e meno distaccata, capace di favorire pensieri “buoni”, propositivi e riparatori nelle persone in cui le distorsioni cognitive, principalmente di tipo depressivo e di colpa, aumentano l’auto ipercriticità.



conclusioni

Nel trattamento dei disturbi psichiatrici, è fondamentale che il terapeuta abbia una contezza dei fattori culturali e psicopatologici alla base della vergogna.

In conclusione, la vergogna è un’emozione complessa, psicologicamente fondamentale, che regola e struttura molte delle funzioni cognitive, come quella adattativa, concorrendo alla formazione della consapevolezza personale e della capacità di relazionarsi con gli altri. La riflessione psicanalitica ha discusso del rapporto tra vergogna e “Sé ideale”, componente strutturale dell’autostima.37,43 È tuttavia necessario sottolineare come questo sentimento debba essere esaminato in rapporto al contesto socioculturale. Infine, la disregolazione emotiva della vergogna è responsabile di complessi quadri clinici e condizionare la salute e il benessere mentale delle persone.



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