Prefazione al N° 15
Gaspare Vella, Alberto Siracusano
RIASSUNTO
Una delle questioni fondamentali della ricerca psichiatrica attuale è lo studio dei rapporti esistenti tra i disturbi dell'età evolutiva e quelli dell'età adulta. La problematicità di questa ricerca risiede tanto nella difficoltà dell'argomento, quanto nel fatto che lo studio di questi rapporti implica l'uso ed il confronto con una vasta gamma di elementi teorici e clinici di significato non univoco, quali: continuità, cronicità, spettro, comorbidità, ciclo vitale. Vi sono inoltre ulteriori, specifiche, difficoltà derivanti dalla scelta del tipo di patologia presa in esame, dalla individuazione delle sue caratteristiche psicopatologiche e dal suo inquadramento diagnostico. Infine vanno aggiunte le problematiche di ordine metodologico; ad esempio i criteri di analisi impiegati per indagare i collegamenti dei disturbi dell'umore tra l'età evolutiva e quella adulta sono molto diversi da quelli utilizzabili per comprendere i possibili rapporti di continuità dei disturbi di tipo schizofrenico tra le due età. L'esistenza di possibili collegamenti tra disturbi psicopatologici dell'età infantile e quelli dell'età adulta è stata oggetto, negli ultimi vent'anni, di attento studio da parte dei ricercatori di entrambi i versanti, attraverso studi volti a cercare di colmare quello che veniva avvertito come un non chiaro salto generazionale e a verificare quanto di "clinicamente concreto" sostenga ormai la tradizionale suddivisione della psichiatria per età: psichiatria dell'età infantile e adolescenziale, dell'età adulta, dell'anziano. Il concetto di continuità ha così assunto un significato psicopatologico di importanza teorico-clinica sempre maggiore, collegandosi ad un approccio di studio in senso evolutivo, centrato sull'osservazione del corso "normale" dello sviluppo biologico e psicologico dell'individuo, confrontato con lo sviluppo "patologico". I meccanismi alla base dei processi di continuità e discontinuità dei processi di evoluzione normali e psicopatologici risulterebbero dal confronto in parallelo di questi due tipi di sviluppo. In generale, le ricerche della psichiatria infantile/adolescenziale e della psichiatria dell'età adulta sembrano concordare nel sostenere un'ipotesi unitaria, nella quale i disturbi psichici dell'età infantile e dell'età adulta sono considerati quadri clinici ambedue reali e, talora, gravi, che si manifestano con quadri sindromici differenti, a seconda del grado di sviluppo neuro-psicologico raggiunto dal soggetto al momento del loro esordio. Ricordiamo che, allo stato attuale, possiamo riconoscere vari tipi di continuità tra i disturbi dell'età infantile e quelli dell'età adulta: cronologica, sindromica, eterotipica e transgenerazionale. L'ultima edizione del DSM-IV riflette le tendenze unificatrici della ricerca. Il manuale, infatti, nella parte dedicata ai Disturbi Diagnosticati nell'Infanzia, nella Fanciullezza o nell'Adolescenza, precisa che tale sezione è stata «costituita solo per comodità, e non va intesa a suggerire l'esistenza di alcuna chiara distinzione tra i disturbi "della fanciullezza" e "dell'età adulta"», sottolineando in tal modo come la separazione tra le due categorie di disturbi vada considerata solo una convenzione classificativa. Il DSM-IV inoltre specifica che, sebbene molti dei soggetti con questi disturbi arrivino all'attenzione clinica già in età infantile o adolescenziale, alcune volte i disturbi possono essere diagnosticati solo in età adulta. Ed ancora, molti disturbi inclusi in altre parti del manuale spesso hanno inizio in età infantile o adolescenziale, e pertanto anche per i soggetti adulti possono essere utilizzati criteri diagnostici inclusi in questa sezione. L'importanza delle considerazioni del DSM-IV appare, nella sua evidenza ,non solo dai punti che è possibile sintetizzare: 1) non chiara distinzione tra disturbi dell'età infantile e dell'età adulta; 2) possibilità che un disturbo presente già in età infantile venga diagnosticato solo in età adulta; 3) variabilità dell'età di esordio dei disturbi psicopatologici; 4) applicabilità all'adulto dei criteri diagnostici dell'età infantile o adolescenziale e viceversa, ma soprattutto dai concetti che è possibile derivarne. Le conseguenze di questa impostazione sono: a) il riconoscimento del superamento dello scetticismo diagnostico nei riguardi dei disturbi psichici dell'età infantile; b) che l'indicazione per l'impiego delle categorie diagnostiche alla clinica, posta dal manuale solo per comodità d'uso, consente di conoscere l'età di insorgenza del disturbo quale fattore di estrema significatività diagnostica e prognostica; c) che la non chiara distinzione nella natura dei diversi disturbi fa assumere particolare rilievo all'osservazione e alla distinzione qualitativa della diversa presentazione dei sintomi nelle diverse fasce d'età (core symptoms, subtreshold symptoms); d) tutto questo sembra indicare l'osservazione longitudinale del disturbo come principale strumento per coglierne l'evoluzione, le eventuali modificazioni legate a particolari nodi di sviluppo e su cui fondare la ricerca degli eventuali meccanismi di continuità.
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