Nuove dimensioni psicopatologiche della

salute mentale: solitudine e povertà vitale

michele ribolsi1, cinzia niolu2, alberto siracusano2

1. Unità di Neurologia, Neurofisiologia, Neurobiologia e Psichiatria,

Dipartimento di Medicina, Università Campus Bio-Medico, Roma

2. Cattedra di Psichiatria, Dipartimento di Medicina dei Sistemi,

Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”




RIASSUNTO

Il concetto di solitudine ha da sempre suscitato grande interesse nella comunità culturale e scientifica. Nonostante internet e social network offrano continuamente innumerevoli possibilità di contatto, numerosi studi riscontrano nella popolazione occidentale la crescente diffusione, sempre maggiore negli ultimi anni, di uno spiccato sentimento di solitudine. L’elevata percezione soggettiva di solitudine e i fenomeni sempre più diffusi di esclusione sociale contribuirebbero, inoltre, all’insorgenza di differenti quadri clinici psicopatologici come ad esempio i disturbi depressivi, i comportamenti aggressivi, ansia sociale e impulsività. La povertà vitale è un nuovo concetto psicopatologico che integra quello generale di povertà economica e si riferisce ad un impoverimento delle qualità e risorse umane dell’individuo e a una sua involuzione sociale. Solitudine, povertà economica, povertà vitale rappresentano delle determinanti psicosociali della salute mentale. È necessario un ripensamento non solo delle politiche di sostegno alla salute mentale, ma un loro ripensamento in termini etici.

Parole chiave: solitudine, povertà vitale, esclusione sociale, salute mentale.


New psychopathological determinants of mental health: loneliness and vital poverty

The concept of loneliness has always aroused great interest in the cultural and scientific community. Although the internet and social networks continually offer countless possibilities for contact, numerous studies have found in the Western population the growing spread, ever greater in recent years, of a strong feeling of loneliness. The high subjective perception of loneliness and the increasingly widespread phenomena of social exclusion would also contribute to the onset of different psychopathological clinical pictures such as depressive disorders, aggressive behaviors, social anxiety and impulsivity. Vital poverty is a new psychopathological concept that integrates the general one of economic poverty and refers to an impoverishment of the individual’s human qualities and resources and to his or her social involution. Loneliness, economic poverty, vital poverty represent psychosocial determinants of mental health. It is necessary to rethink not only mental health support policies, but also to rethink them in ethical terms.

Key words: loneliness, vital poverty, social exclusion, mental health.



introduzione

Il concetto di solitudine ha da sempre suscitato grande interesse nella comunità culturale e scientifica. Ad esempio, la filosofia “esistenzialista”, prevalentemente di matrice francofona, considerava la solitudine come una delle caratteristiche principali dell’esistenza umana: ogni singolo essere umano nasce “solo”, abbandonato nel mondo e costretto a vivere la coscienza della finitezza e la consapevolezza del nulla. Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Gabriel Marcel, Albert Camus, nella loro produzione letteraria, hanno affrontato questo tema fondamentale individuando il nocciolo del concetto nel controverso rapporto con altri soggetti minato dalla presunta impossibilità di una comunicazione autentica. Con Fromm-Reichmann e Melanie Klein, il concetto di solitudine è stato preso in considerazione in ambito psicoanalitico come un fattore che gioca un ruolo determinante nelle dinamiche psichiche. I primi studi sulla solitudine si sono concentrati principalmente sulla sua fenomenologia e correlati. Successivamente sono stati sviluppati numerosi studi di carattere epidemiologico e teorico volti a tracciare una definizione precisa, scientifica, del concetto.1 In particolare, sono state individuate due diverse definizioni del fenomeno: l’isolamento sociale e la “loneliness”. L’isolamento sociale può essere definito come l’oggettiva mancanza di contatto tra un individuo e la società, ad esempio un concreto distacco dalla famiglia o dagli amici e l’evitamento volontario di qualsiasi contatto con altre persone nonostante il sorgere di tali opportunità. L’isolamento sociale è legato all’ansia, allo stress e alla depressione.2 La “loneliness”, a differenza dell’isolamento, è stata definita diversamente. In primo luogo, con il termine “loneliness” si intende una spiacevole sensazione di separazione,3 alienazione4 e disconnessione sociale a seguito dell’insoddisfazione del bisogno umano di intimità.4 In secondo luogo, Peplau e Perlman5 hanno ipotizzato che la “loneliness” sia il risultato della discrepanza soggettiva tra i livelli desiderati e quelli effettivamente raggiunti nelle relazioni sociali; questa concettualizzazione spiega come una persona possa sentirsi sola anche quando sia circondata da altre persone. Sebbene la “loneliness” possa dipendere da fattori quali lo stato civile, la frequenza dei contatti con amici e familiari e la partecipazione ad organizzazioni di volontariato, tale fenomeno non è meramente riconducibile a fattori sociali o al semplice essere solo.

Possiamo ipotizzare che isolamento sociale e “loneliness” rappresentino il correlato psicopatologico dell’esclusione sociale. La povertà, la disuguaglianza incidono fortemente sulla capacità di stringere contatti sociali, sulla qualità dei legami sociali, ossia sulla “loneliness”. Numerose ricerche hanno evidenziato una correlazione diretta tra livello socio-economico e isolamento: l’emarginazione sociale, dettata dalla povertà economica, rappresenta un fattore di rischio significativo perché si instauri un livello di isolamento sociale grave, tale da determinare a sua volta un maggior rischio di disturbi dell’umore di tipo depressivo.6



la “loneliness” nella società post-moderna:

una determinante psicopatologica

Nonostante internet e social network offrano continuamente innumerevoli possibilità di contatto, numerosi studi riscontrano nella popolazione occidentale la crescente diffusione, sempre maggiore negli ultimi anni, di uno spiccato sentimento di solitudine.

Alcuni autori hanno fatto riferimento al cosiddetto internet paradox, ovvero una correlazione inversa tra senso di solitudine e connettività digitale. Gli studi condotti in merito hanno dimostrato che l’instaurarsi di una dipendenza da internet determina una concreta ricaduta sul benessere soggettivo predisponendo ad un’elevata percezione di solitudine e sentimenti depressivi.

Altri autori, interpretando i dati in modo differente hanno sostenuto che, al contrario, solitudine e depressione possono essere loro stessi fattori causali in grado di favorire l’innescarsi di un uso problematico di internet o di una dipendenza da esso.7

I soggetti affetti da depressione o con uno spiccato senso di solitudine potrebbero, infatti, avere una spontanea preferenza per l’interazione online: la comunicazione online, infatti, grazie principalmente alla possibilità di anonimato offerta dalla rete può essere percepita come meno rischiosa e in generale più semplice rispetto all’interazione vis a vis.8

Dati di letteratura sempre più convincenti considerano la percezione soggettiva di solitudine un sostanziale fattore di rischio non per la salute mentale ma anche per quella fisica. In particolare, essere soli predispone a ictus, obesità, aumentata resistenza vascolare, ipertensione, morte prematura e disturbi del sonno.9 

L’elevata percezione soggettiva di solitudine contribuirebbe, inoltre, all’insorgenza di differenti quadri clinici psicopatologici come ad esempio i disturbi depressivi, i comportamenti aggressivi, ansia sociale e impulsività. In tal senso, la solitudine viene inquadrata come vera e propria nuova dimensione psicopatologica, troppo spesso sottovalutata, i cui confini e nucleo clinico necessitano di ulteriori approfondimenti.10



solitudine e depressione

Numerosi studi hanno investigato la relazione esistente tra sintomatologia depressiva e percezione soggettiva di solitudine, evidenziando, in particolare, che nonostante l’esistenza di una correlazione tra i due aspetti, solitudine e depressione siano da considerarsi due costrutti ben distinti tra loro.10

Alcuni ricercatori, hanno studiato il tema teorizzando una distinzione di base tra solitudine e dimensione depressiva. La prima implicherebbe una sofferenza conseguente alla mancanza delle relazioni sociali intime desiderate e sarebbe accompagnata da un reale, concreto drive motivazionale, simile a quello presente in caso di fame o sonno; al contrario, la depressione caratterizzata da un sentimento pervasivo di tristezza, mancanza di speranza e di inaiutabilità o rifiuto.11 

In sostanza, “il sentimento di solitudine sta a rappresentare il modo in cui il soggetto si sente a proposito delle proprie relazioni, la depressione sta a rappresentare il modo in cui il soggetto si sente e basta”.11 



solitudine e paranoia

Vari studi hanno inoltre evidenziato l’esistenza di una correlazione tra solitudine e paranoia, sebbene i meccanismi psicopatologici presenti alla base non siano ancora del tutto chiariti.12,13

È stata proposta l’ipotesi, basata su un modello cognitivo-sociale, che la solitudine sarebbe responsabile della perdita di autostima e della fiducia interpersonale. Secondo gli autori, l’associazione tra solitudine e paranoia sarebbe mediata da uno schema cognitivo negativo degli altri e da una bassa percezione di supporto sociale. La percezione soggettiva di solitudine sarebbe, in particolare, responsabile dello sviluppo di uno stile attribuzionale disfunzionale, proiettato verso l’esterno e di una tendenza a valutare erroneamente gli atteggiamenti o le intenzioni delle altre persone, con conseguente incremento dell’ansia sociale, di aspettative negative riguardanti le interazioni sociali future, e di un particolare incremento della percezione delle minacce sociali, precauzione e isolamento passivo. Questa teoria è in linea con il modello cognitivo dei deliri persecutori di Freeman e Garety che ritengono meccanismi sia cognitivi che emotivi alla base del meccanismo di formazione e mantenimento della paranoia.



solitudine e social network

Mentre un certo numero di lavori sottolinea il contributo dei social network all’intensificazione delle nostre relazioni sociali, uno studio dell’Università del Michigan ha mostrato che i social media, piuttosto che farci sentire connessi, contribuiscono alla solitudine e riducono la generale percezione del benessere soggettivo.13,14 In uno studio condotto dall’Happiness Research Institute di Copenaghen è stato reclutato un campione di oltre mille persone e a metà di loro è stato chiesto di non accedere a Facebook per un periodo di tempo pari a una settimana. Ai due gruppi è stato quindi chiesto di misurare la propria soddisfazione su una scala da 1 a 10: mentre il gruppo cha ha continuato a usare Facebook ha dato mediamente una risposta di 7,67 prima del test e 7,75 dopo, quindi praticamente invariata, l’altro è passato da 7,56 quando ancora usava Facebook, a 8,12 dopo averlo evitato per una settimana, riportando inoltre un aumento dell’attività sociale “nel mondo reale” e minori sensazioni di rabbia o solitudine.

Alcuni autori ritengono che l’aumentato sentimento di solitudine e la riduzione del benessere soggettivo sarebbero però connessi, più che all’uso in sé dei social network, alla modalità (attiva oppure passiva) con cui questi sarebbero utilizzati.15 Nei casi in cui i soggetti interagiscono attivamente sui social network, mediante la pubblicazione di messaggi o immagini, commentando altri post o esprimendo i loro commenti, le sensazioni di benessere incrementano e quelle di solitudine, di contro, si riducono. Quando invece il soggetto fruisce passivamente delle informazioni offerte da Facebook, si verificherebbe il contrario. Uno studio precedente dello stesso gruppo di autori ha scoperto che l’aumentato uso di internet ha portato a un calo delle comunicazioni con gli amici e la famiglia, e ha aumentato la depressione e la solitudine.15 Il consumo passivo della vita di altre persone oltre i social media – le loro immagini idealizzate di vacanze, lavoro, pasti e la famiglia – sembrano tradursi in una percezione più negativa della nostra vita e delle nostre interazioni sociali.



sicurezza e solitudine nell’era pandemica

Sicurezza e solitudine costituiscono due parole chiave per rappresentare le società occidentali post-moderne. La pandemia legata al contagio da Covid-19 ha esacerbato ulteriormente questi due aspetti della nostra civiltà. Si tratta di due aspetti consequenziali, dal momento che la sicurezza in alcuni casi può preludere alla solitudine, sebbene un nesso di causalità non sia sempre così derivabile. La pandemia e le misure di distanziamento sociale messe in atto dai governi di tutti i Paesi del mondo sono però soltanto l’ultimo casus belli di questa tendenza sociale. In realtà la ricerca di sicurezza e la sempre maggiore solitudine sociale rappresentano due tratti intrinseci del concetto stesso di civiltà moderna. Citando il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud: “La parola civiltà designa la somma delle realizzazioni e degli ordinamenti che differenziano la nostra vita da quella dei nostri progenitori animali e che servono a due scopi: a proteggere l’umanità dalla natura e a regolare le relazioni degli uomini tra loro”.16 La costruzione della civiltà regola e ordina le pulsioni, rappresenta uno strumento con il quale coniugare le pulsioni individuali e il loro estrinsecarsi e l’istanza di sicurezza e autoregolazione delle civiltà umane. In tal senso, continua Freud: “La libertà individuale non è un frutto della civiltà. Essa era massima prima che si instaurasse qualsiasi civiltà… La libertà subisce delle limitazioni ad opera dell’incivilimento e la giustizia esige che queste restrizioni colpiscano immancabilmente tutti”.16 Pulsione, libertà, godimento, subiscono un interdetto rappresentato dalla Legge, in questa continua dinamica risiede “il disagio della civiltà”, disagio incolmabile e necessario proprio per garantire l’ordinamento civile delle relazioni tra gli uomini. “Questa frustrazione civile domina il vasto campo delle relazioni sociali degli uomini; già sappiamo che è la causa dell’ostilità contro cui tutte le civiltà devono combattere”.16 La frustrazione civile rappresenta una frontiera, una barriera costantemente sotto minaccia e sotto pressione da parte delle spinte pulsionali. Godimento libertario da un lato e regolazione della Legge dall’altro sono le due istanze in costante equilibrio tra loro.

Per comprendere lo spirito del testo di Freud, a taluni apparso pessimistico per l’irrimediabilità intrinseca del disagio della civiltà, occorre contestualizzarlo: siamo negli anni ‘30, quando, dopo la crisi del ‘29, l’economia tedesca era in seria difficoltà e il governo aveva attuato scelte rigorose quanto impopolari (aumento delle tasse, tagli ai salari, ecc.). La depressione aveva fatto crescere il consenso al movimento nazionalista, permettendo così l’ascesa al potere di Hitler. In questo contesto sociale Freud, ebreo, sentì il bisogno di scrivere un testo con un taglio sociale e non individuale, la cui sintesi consiste nel fatto che la civiltà nasce per garantire sicurezza, ordine e pulizia a chi ne fa parte, ma gli imperativi che essa impone al singolo sono spesso in contrasto con la soddisfazione dei bisogni individuali. Il disagio del vivere nella civiltà è dunque determinato dal contrasto perenne tra felicità individuale e legge universale. La civiltà, per intrinseche necessità di ordine, deve regolare gli impulsi primitivi dell’essere umano, per esempio attraverso la sublimazione, e dunque rinuncia alla libertà illimitata in cambio di un certo livello di sicurezza.

In piena pandemia, il timore del contagio e della perdita della propria salute ha ovviamente risvegliato la pulsione securitaria. Secondo l’ultimo rapporto Censis, l’Italia nel 2020 era “spaventata, dolente, indecisa tra risentimento e speranza”. Alcuni dati: il 73,4% degli italiani indica nella paura dell’ignoto e nell’ansia conseguente il sentimento prevalente. Secondo l’indagine Censis, “la tensione securizzatrice ha prodotto una relazionalità amputata … Il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, lasciando al Governo le decisioni su quando e come uscire di casa, su cosa è autorizzato e cosa non lo è, sulle persone che si possono incontrare, sulle limitazioni alla mobilità personale. Il 56,6% chiede addirittura il carcere per i contagiati che non rispettano rigorosamente le regole della quarantena. Il 31,2% non vuole che vengano curati coloro che, a causa dei loro comportamenti irresponsabili, si sono ammalati”.17

Naturalmente, il prezzo sociale delle necessarie politiche di distanziamento sociale e di una accresciuta ricerca collettiva di sicurezza può essere dato dalla solitudine. Ci sono due accezioni della solitudine, da un lato l’isolamento, ovvero una condizione di assenza reale di relazioni e legami. Dall’altro lato, la cosiddetta “loneliness”, ovvero una percezione soggettiva di solitudine al di là del numero di legami e di contatti che si ha con il mondo. Studi recenti hanno evidenziato come il sentimento della “loneliness” non sia minimamente compensato dai “social” e dalle relazioni virtuali, al contrario, una ricerca recente condotta dall’Università di Tor Vergata ha mostrato una relazione inversa tra numero di amici “online” e sentimento di solitudine in un campione di oltre mille adolescenti nel Lazio. La letteratura scientifica concorda sul considerare la solitudine come un fattore di rischio per la salute fisica e mentale. La solitudine è un fattore di rischio per ictus, obesità, aumento della resistenza vascolare, ipertensione, mortalità prematura, disturbi del sonno. La solitudine incide sulla salute mentale. Non è di per sé una forma di disagio psichico, ma è un fattore di rischio per depressione e altri quadri clinici psicopatologici.



povertà vitale, disagio economico e salute mentale

Il “disagio della civiltà” nel XXI secolo ha anche una radice economica. “Nel secondo trimestre del 2020 si registrano 841.000 occupati in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, 1.310.000 persone inattive in più, che non cercano lavoro, e una riduzione di quasi 650.000 disoccupati come effetto di una forte sfiducia nella possibilità di trovare un impiego”.17 I dati del 2020 in realtà seguono in periodo di generale impoverimento già prima della pandemia. L’incidenza di povertà assoluta è passata in Italia dal 2014 al 2016 dal 5,7 % al 6,3 %, nel caso delle famiglie a basso reddito con stranieri l’incidenza è passata dal 22 % al 30,1 %. Il rapporto Caritas sulla Povertà a Roma mostra la presenza di enormi disuguaglianze tra quartieri. Si passa da un reddito imponibile medio pari a 40.655,89 nel II Municipio (Parioli – Flaminio – Salario – Trieste – Nomentano – Tiburtino – Pinciano) a un reddito imponibile medio di 17.069,33 nel VI Municipio (Torre Spaccata, Torre Maura, Giardinetti-Tor Vergata, Torre Angela, Acqua Vergine, Lunghezza, Borgesiana, S. Vittorino).

È ormai ben noto in letteratura che la povertà socio-economica incide sulla salute mentale e viceversa. C’è un aumento del rischio di disagio psichico tra le persone che vivono in povertà e una maggiore probabilità per coloro che sono affetti da disturbi psichiatrici di rimanere in condizioni di disagio socio-economico. Sebbene non manchino studi longitudinali, i precisi meccanismi causali sono difficili da identificare. Sono state ipotizzate due pathways causali principali:

1) l’ipotesi della causalità sociale, secondo la quale è la povertà che incrementa il rischio di disagio psichico attraverso la mediazione di alcune variabili, come lo stress cronico, l’esclusione sociale, la solitudine, la malnutrizione, lo stigma;

2) l’ipotesi della selezione sociale, o social drift hypothesis, secondo la quale le persone affette da disturbo psichico sono maggiormente a rischio di rimanere o finire in povertà a causa di una minore produttività lavorativa o della perdita del posto di lavoro.6 Esiste infine una forma diversa di povertà, definita recentemente “la povertà vitale”.


“La povertà vitale, infatti, sebbene teoricamente condizionata dalla povertà economica, è un concetto più ampio, che fa riferimento a un impoverimento delle qualità e delle risorse umane generali dell’individuo, a un’involuzione sociale incapace di avere una prospettiva a lungo respiro. Questa condizione è caratterizzata da un sentimento di vuoto interiore, da una mancanza di significato della propria vita”.6 Povertà di relazioni, povertà affettiva, vuoto di senso, caduta dei valori, perdita del senso morale e religioso sono gli indici di questa nuova forma di povertà.



ripensare la salute mentale

Il disagio della civiltà, la solitudine, la povertà economica e la povertà vitale impongono non solo un incremento delle politiche di sociale, ma un salto qualitativo in termini etici delle forme di sostegno alla salute mentale, sostenendo pratiche cliniche volte ad evitare fenomeni di esclusione sociale e favorendo possibilità di inclusione e accompagnamento.

L’etimologia del termine “accompagnare” deriva dal latino medioevale, ove com-panio è “colui che ha il pane in comune”, rimandando “a quell’idea classica della vita come viaggio e della relazione umana come compagnia tra pellegrini che condividono tra loro le fatiche e il pane del viaggio”.18

Per la Treccani, “accompagnare” significa: “Seguire una persona, andare con essa come compagno per affetto, onore o protezione”.

Nel nostro sistema di previdenza sociale, esiste una indennità di accompagnamento che l’INPS definisce come “una prestazione economica, erogata a domanda, a favore dei soggetti mutilati o invalidi totali per i quali è stata accertata l’impossibilità di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore oppure l’incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita”.

Nel campo della salute mentale e del disagio psichico, la solitudine e la povertà vitale rappresentano nuove ed emergenti determinanti psicopatologiche, spesso meno riconoscibili dal punto di vista clinico. Sono fortemente intrecciate tra loro e rappresentano un fattore di vulnerabilità al di là della diagnosi psicopatologica di ogni singolo soggetto. La combinazione di questi fattori è spesso responsabile dei fenomeni di segregazione sociale.19



BIBLIOGRAFIA

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17. 54° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2020.

18. Dizionario di Scienze dell’Educazione, 2008, p. 29.

19. Soler C. L’inconscio a cielo aperto della psicosi. Milano: Franco Angeli, 2014.