I disturbi alimentari e della nutrizione:
nuove prospettive e nuove sfide
martina pelle1, leonardo procenesi1, lorenzo maria contini1,
alberto siracusano1,2, cinzia niolu1,2
1. Dipartimento di Medicina dei Sistemi, Cattedra di Psichiatria,
Università degli studi di Roma “Tor Vergata”
2. UOC di Psichiatria e Psicologia Clinica, Dipartimento Benessere
della Salute Mentale e Neurologica, Dentale e degli Organi Sensoriali,
Fondazione Policlinico “Tor Vergata”, Roma



RIASSUNTO
I disturbi alimentari e della nutrizione (DAN) incidono profondamente sulle determinanti di salute delle società moderne, con caratteristiche in continua evoluzione e nuovi trend emergenti che impongono una loro ridefinizione. Sono sempre più comuni, infatti, i DAN che non soddisfano i criteri nosografici classici, pur causando sofferenza soggettiva: tra questi la food addiction, l’ortoressia nervosa, la muscle dysmorphia e la drunkoressia sono solo alcune delle sfide che interesseranno i clinici nel prossimo futuro. Accanto al tema delle nuove diagnosi, la pandemia da SARS-CoV-2, esponendo i sistemi sanitari ad un forte stress, costituisce una sfida assistenziale peculiare: le restrizioni, l’isolamento sociale, l’ansia e l’incertezza per il futuro hanno pesantemente influenzato l’esordio e le manifestazioni cliniche dei DAN, con ricadute nei prossimi anni che imporranno un riadattamento dei sistemi assistenziali. Si impone quindi anche una riflessione costruttiva sull’importanza delle nuove tecnologie: da un lato è necessario valutare come realtà ormai quotidiane (social network, mass media, ecc.) interagiscono e modifichino l’epidemiologia dei DAN, il loro esordio e il loro fenotipo; dall’altro tecnologie come l’intelligenza artificiale e machine learning dovranno essere sempre più integrate all’interno della ricerca clinica e dei percorsi diagnostico-terapeutici per rimanere al passo con le sfide di oggi.
Parole chiave: disturbi dell’alimentazione, epidemiologia, food addiction, coronavirus, social network.


SUMMARY
Eating and nutrition disorders: new perspectives and new challenges
Eating and nutrition disorders (DAN) profoundly affect determinants of health in modern societies, with constantly evolving characteristics and new emerging trends that require their redefinition. Indeed, DAN that does not meet the classic nosographic criteria, while causing subjective suffering, are increasingly common: among these, food addiction, nervous orthorexia, muscle dysmorphia and drunkorexia are just some of the challenges that will affect clinicians in the near future. Alongside the theme of new diagnoses, the SARS-CoV-2 pandemic, exposing health systems to severe stress, constitutes a particular care challenge: restrictions, social isolation, anxiety and uncertainty for the future have heavily influenced the onset and clinical manifestations of DAN, with relapses in the coming years that will require an adaptation of the health care systems. A constructive reflection on the importance of new technologies is therefore also required: on the one hand, it is necessary to evaluate how everyday realities (social networks, mass media, etc.) interact and modify the epidemiology of DAN, their onset and their phenotype; on the other hand, technologies such as AI and machine learning will have to be increasingly integrated into clinical research and diagnostic-therapeutic pathways to keep up with today’s challenges.
Key words: eating disorders, epidemiology, food addiction, coronavirus, social network.

introduzione
I disturbi alimentari e della nutrizione (DAN) sono disturbi psichiatrici caratterizzati da comportamenti legati all’alimentazione che hanno come risultato un alterato consumo o assorbimento di cibo e che compromettono significativamente la salute fisica e il funzionamento psicosociale del paziente.1 Incidono profondamente sulla disabilità, la mortalità e il costo economico e sociale, impattando sia fisicamente che mentalmente la vita e il funzionamento psico-relazionale di chi ne soffre e dei suoi familiari.2 Inoltre, in più del 70% dei casi3 si trovano in comorbilità con altri disturbi psichiatrici, con alta prevalenza soprattutto tra i disturbi d’ansia (>50%) e il disturbo depressivo maggiore (>40%). Il disturbo da uso di sostanze, in particolare da alcol, è presente in circa il 10% dei pazienti con DAN, soprattutto giovani donne tra i 20 e i 30 anni presentano un rischio aumentato.4 Un possibile fattore di rischio presente in entrambi i disturbi è una storia di traumi e conseguente disturbo post-traumatico da stress (PTSD).
L’esordio dei DAN è prevalentemente nell’età evolutiva, in particolare nella popolazione femminile con un rapporto F:M di 9:1 in una fascia di età compresa tra i 12 e i 25 anni, ma possono presentarsi lungo tutto l’arco della vita e con una tendenza alla cronicizzazione. Il binge eating disorder (BED) è più comune tra gli uomini.5 La preoccupazione circa la propria forma fisica può essere diversa tra uomini e donne: nei primi, per esempio, può riguardare maggiormente la muscolosità, mentre nelle donne la perdita di peso.2
Negli ultmi dieci anni la definizione dei disturbi alimentari è stata messa in discussione e la sua concettualizzazione si è notevolmente modificata, culminando nella riclassificazione in Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione della quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), riconfermata anche nell’undicesima edizione della Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati (ICD-11).6 Inoltre, sono stati riconosciuti e classificati per la prima volta come disordini ben definiti il BED e il disturbo evitante restrittivo dell’assunzione di cibo (ARFID), i primi due DAN che non contano tra i propri criteri diagnostici la preoccupazione per l’immagine corporea.5 Il DSM-5 classifica i DAN in sei categorie: anoressia nervosa (AN), bulimia nervosa (BN), BED, Pica, ARFID. Esistono, inoltre, disturbi alimentari che non soddisfano completamente i criteri per la classificazione secondo il DSM-5 ma che causano comunque sofferenza soggettiva e meritano pertanto una loro definizione. Il DSM-5 prevede la categoria di “altri disturbi specifici dell’alimentazione” (OSFED) per quei casi che non raggiungono in pieno i criteri classificativi, come per esempio individui che non raggiungono la soglia di peso per l’anoressia nervosa (AN), o la frequenza e la durata della bulimia nervosa (BN) o del BED.
L’AN è caratterizzata da un’intensa paura di aumentare di peso, oppure da un comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso e da una disturbata visione della propria forma corporea, associati a importante restrizione nell’assunzione di calorie. Le complicanze mediche, dovute alla malnutrizione, coinvolgono tutti gli organi e i sistemi con importanti ripercussioni soprattutto sul piano metabolico, cardiovascolare ed endocrinologico. L’AN presenta il tasso di mortalità più alto tra tutti i disturbi psichiatrici7 sia a causa di conseguenze mediche che psichiatriche: il rischio di suicidio ha tassi riportati di 12 su 100.000 per anno.1 Per quanto riguarda i cambiamenti nei criteri diagnostici dell’AN, non è più necessaria una precisa riduzione di peso ma è sufficiente una significativa riduzione (dal 75% all’85%) del peso corporeo. Inoltre, anche il criterio dell’amenorrea è stato rimosso, tenendo in considerazione sia l’utilizzo di metodi contraccettivi ormonali5 che l’esordio di AN in una sempre più importante fetta della popolazione prima del menarca.
La BN è caratterizzata da ricorrenti episodi di abbuffata, correlate da inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso, come vomito autoindotto, uso di lassativi o diuretici ed eccessivo esercizio fisico, e livelli di autostima indebitamente influenzati dalla forma fisica e dal peso corporeo. Può essere associato a peso normale o elevato. La BN ha subito meno cambiamenti: restano gli episodi di alimentazione incontrollata, seguiti da comportamenti compensatori ma, rispetto al DSM-IV, si possono verificare anche solo una volta a settimana (per almeno 3 mesi per il DSM-5 o 1 mese per l’ICD-11). Lo stesso vale per il BED, al quale si associano anche mangiare più rapidamente del normale, quando non si ha fame, fino a che non ci si sente sgradevolmente pieni, da soli a causa dell’imbarazzo e sentirsi disgustati di sé stessi o depressi.1 
Il BED ha acquisito una sua caratterizzazione ufficialmente nel DSM-5. Una vasta letteratura ha dimostrato l’importanza clinica di questo disordine che presenta tassi di impairment socio-funzionale e riduzione della qualità di vita e di salute comparabile ad AN e BN.8 La caratteristica principale sono i ricorrenti episodi di abbuffata (almeno uno a settimana per tre mesi), seguiti dalla sensazione di perdere il controllo durante l’episodio. Si trova spesso in comorbilità con altri disturbi psichiatrici, in particolare con il disturbo di personalità borderline e con l’ADHD.9
Il ARFID è adesso considerato un disturbo non correlato all’età, a differenza del DSM-IV che lo categorizzava come disturbo della nutrizione e dell’alimentazione dell’infanzia e della prima infanzia. La caratteristica principale è l’evitamento o la restrizione nell’assunzione di cibo correlato con la persistente incapacità di soddisfare le appropriate necessità nutrizionali e caloriche. Questi sintomi possono essere legati all’assenza di interesse per il cibo, evitamento basato sulle caratteristiche sensoriali o preoccupazione relativa alle conseguenze negative del mangiare.
La pica ha come caratteristica la persistente ingestione di una o più sostanze non commestibili per almeno un mese. Infine, il Disturbo da Ruminazione consiste nel ripetuto rigurgito del cibo dopo l’alimentazione per un periodo di almeno un mese. Il cibo, in assenza di nausea, involontari conati di vomito o disgusto, può essere rimasticato e poi nuovamente sputato o inghiottito.
Un importante cambiamento nel DSM-5, rispetto al DSM-IV è stata la ridefinizione della categoria dei Disturbi alimentari non altrimenti classificati, che racchiudeva circa il 50% dei pazienti con DAN, e la sua divisione in nuove categorie specifiche come la BED, la night eating syndrome (NES) e il purging disorder (PD)10 e la creazione della categoria OSFED. Questa racchiude DAN che non raggiungono i criteri per le principali diagnosi ma che rappresentano sottocategorie di AN, BN e BED. Per esempio, persone con un IMC nel range della normalità ma che comunque raggiungono gli altri criteri per l’AN, possono ricevere diagnosi di anoressia nervosa atipica.
In particolare, la NES si caratterizza per un pattern di assunzione del cibo prevalentemente serale/notturno, associato a insonnia e anoressia mattutina. Il paziente è completamente sveglio durante l’assunzione di cibo, non c’è sonnambulismo e c’è memoria dell’evento il giorno successivo. Una caratteristica della NES è che spesso si manifesta nel contesto dei disturbi del sonno. Nel DSM-5 non vengono riportati i criteri diagnostici proposti dall’International NES Working Group11 (tabella I), né gli strumenti testologici (NEQ, NEDQ, NESHI) validati.



Per il trattamento della NES
12 attualmente le opzioni dimostrate efficaci sono sia farmacologiche (sertralina) che non farmacologiche (terapia cognitivo-comportamentale, CBT) mentre risultati promettenti sono stati dimostrati dalla bright-light therapy, la Progressive-Muscle-Relaxation e il topiramato. Non è invece consigliato l’utilizzo di ipnoinducenti (zolpidem)13 in soggetti con NES in quanto sembra possibile lo shift a sleep-related eating disorder (SRED), che si distingue dalla prima per il fatto di essere una parasonnia in cui non si conserva il ricordo di aver mangiato e con frequente ingestione di materiale non edibile.


nuovi trend
Non tutte le forme sintomatiche dei DAN si inseriscono perfettamente nella classificazione del DSM-5 e questo ha portato la ricerca ad individuare e investire sempre maggiore attenzione sulle cosiddette sindromi parziali, subcliniche, sottosoglia o atipiche dei disturbi alimentari. Tra i quadri che presentano maggiore difficoltà di inquadramento ricordiamo: la food addiction (FA), l’ortoressia nervosa (ON), la muscle dysmorphia (MD) e la drunkoressia.

Per FA si intende una condizione di comportamento alimentare caratterizzato da eccessiva e incontrollata assunzione di cibo e atteggiamenti simil-craving per il cibo, tipicamente per alimenti altamente palatabili e dalla densità di carboidrati raffinati e grassi innaturalmente alta. Per “diagnosticare” la FA, è stata sviluppata la YFAS (attualmente alla seconda versione, realizzata sulla base dei criteri del DSM-5 per il disturbo da uso di sostanza sconosciuta14). La FA è più frequente nei soggetti affetti da obesità, ma non è stato dimostrato che ne sia un fattore di rischio. Per alcuni la FA è una dipendenza da uno o più nutrienti (attualmente non identificati),15 per altri è più simile al gambling disorder per cui sarebbe l’atto del mangiare ad attivare il sistema del reward;16 per altri ancora la FA è un sottotipo severo e con maggior carattere di compulsività di BED.17 Dirimere le suddette questioni comporterebbe importanti conseguenze sulla prevenzione e il trattamento della FA e delle condizioni (es: obesità, altri DAN) che co-occorrono con essa. 
Il termine “ortoressia nervosa” fu coniato da Bretman nel 199718 ed indica una condizione di attenzione ossessiva sulle pratiche alimentari (es: rigide regole alimentari, ricorrenti e persistenti preoccupazioni per il cibo, comportamenti compulsivi) ritenute migliori per promuovere il benessere da cui deriva disagio clinicamente significativo (complicazioni mediche o psicologiche, grande afflizione e/o impairment in importanti aree di funzionamento…).19 Sebbene l’ON sia stata oggetto di numerosi studi, molti sono i temi su cui non c’è accordo in letteratura come, per esempio, l’inclusione della ON tra i DAN oppure tra i disturbi correlati al Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC). Anche per via di questo scarso accordo, la ON non è stata ancora inserita nel DSM-5 o nell’ICD-11. Per questo nel 2016 è stata costituita la ON-Task Force (ON-TF) per la definizione di criteri diagnostici, di strumenti testologici più accurati rispetto a quelli attualmente validati20 che indaghino le varie dimensioni dell’ON, la valutazione di fattori di rischio, marker diagnostici, comorbilità mediche e psichiatriche, prevalenza, differenze associate a variabili demografiche e socioculturali.
Conosciuta anche come “complesso di Adone” o “vigoressia”, la MD fu descritta per la prima volta nel 199321 con il nome di “anoressia inversa”. I soggetti “vigoressici” mostrano infatti un vissuto alterato della propria immagine corporea “opposto” a quello tipico della AN: anziché vedersi troppo grassi e grandi seppur magrissimi, esperiscono il proprio corpo come eccessivamente esile e non sufficientemente muscoloso anche quando raggiunta una evidente forma atletica. Il benessere soggettivo ed il funzionamento degli individui con MD risultano compromessi sia per l’insoddisfazione per l’immagine corporea in sé che per le risorse (tempo, energie, denaro…) spese per raggiungere la propria forma ideale.
Già dal 199722 fu proposto il nome MD e la sua classificazione come sottotipo di Disturbo di Dismorfismo Corporeo (BDD). Tali proposte sono state infine accolte nel DSM-5 (dove la MD è pertanto inserita come specificatore del BDD nel capitolo dei disturbi correlati al DOC) escludendo tuttavia i criteri diagnostici ampiamente condivisi in letteratura (tabella II).




Alcuni autori23-28 però ritengono che la MD sia da considerarsi un DAN poiché:
a. il disturbo della propria immagine corporea risulta simile a quella di AN e BN;
b. sovente i soggetti affetti da MD hanno anamnesi positiva per AN;
c. la MD potrebbe costituire una forma di PD;
d. sono state rilevate associazioni genetiche tra AN e DM;
e. la sottostante paura della valutazione negativa sembrerebbe essere un meccanismo transdiagnostico tipico e fondamentale nei DAN condivisa anche dalla DM.

Determinare se la MD è una forma di BBD o un DAN non solo consentirebbe di convogliare gli sforzi di indagine per approfondirne le caratteristiche e gli strumenti terapeutici più efficaci: attualmente, infatti, le evidenze scientifiche circa la terapia della MD si basano su studi su campioni limitati basati e sul riadattamento dei trattamenti del BBD e i DAN29 come CBT, Acceptance and Commitment Therapy, terapia dialettico-comportamentale, Family-based Treatment e farmacoterapia (soprattutto citalopram, escitalopram, fluvoxamina, fluoxetina e clomipramina).
Il termine “drunkoressia” fa riferimento ad un comportamento “alimentare” descritto come emergente nelle società occidentalizzate. Il termine è considerato colloquiale, in luogo del più tecnico termine inglese “alcholimia”, che tuttavia poco si adatta alla resa italiana.30
Sebbene vi si faccia riferimento in diverse pubblicazioni, non ne è presente in letteratura una definizione univoca, a differenza di quanto avviene per il binge drinking e altri comportamenti emergenti: nella maggior parte dei casi il termine viene usato in riferimento ad un comportamento composito di almeno 3 aspetti30: uso o abuso di alcool (diverso dal binge drinking); condotte alimentari disorganizzate (fino a veri e propri DCA in comorbilità); attività fisica compensatoria. Si tratta dunque, nella maggior parte delle accezioni, di un comportamento caratterizzato dall’assunzione di significative quantità di alcolici, associate a condotte di restrizione alimentare, di eliminazione o compensative (es: eccessiva attività fisica) volte a bilanciare l’introito calorico dovuto all’alcol per mantenere il peso corporeo sotto controllo.
Le caratteristiche epidemiologiche del fenomeno non sono ancora del tutto chiarite, ma i dati a disposizione della comunità scientifica disegnano un panorama complesso e in rapida evoluzione.
La popolazione più a rischio sembra essere quella degli studenti universitari: in uno studio italiano del 2017 svolto su 4275 partecipanti tra i 18 e i 26 anni è stato osservato come il 34,1% dei soggetti ammettesse di limitare il proprio apporto calorico prima di consumare alcolici, senza peraltro che si evidenziassero significative differenze di genere.31 Questi risultati sono peraltro coerenti con i dati disponibili nella letteratura americana: uno studio di Giles et al.32 ha indicato che dei 4271 studenti che hanno riferito di aver bevuto nell’ultimo mese, il 39% ha riferito di limitare il consumo di cibo nei giorni in cui aveva già in programma di consumare bevande alcoliche: tra coloro che hanno segnalato restrizioni caloriche, il 47% delle donne e il 32% degli uomini ammettevano di averlo fatto in conseguenza della preoccupazione di aumentare di peso.30,33
In termini di comorbilità, dallo studio già citato emerge una frequente associazione con comportamenti di abuso e con DAN diagnosticabili secondo i criteri DSM-5: in particolare si osserva una correlazione significativa con uso di cocaina e nuove sostanze psicoattive, AN e BN.31


covid-19 e dan
L’OMS ha dichiarato la pandemia da SARS-CoV-2 l’11 marzo 2020. Da allora in Italia e nel mondo si è susseguita una serie di misure di ordine pubblico finalizzate a contenere il contagio, molte di cui basate sulla restrizione delle opportunità di condivisione sociale, dalla limitazione alle possibilità di aggregazione in luoghi pubblici e privati fino al lockdown, durante il quale era consentito uscire di casa solo per cause di necessità o per svolgere le poche attività lavorative consentite.
Se da un lato le varie fasi di restrizione hanno indubbiamente ridotto i danni diretti della pandemia in termini di contagi e di decessi, una larga parte di danni indiretti è sicuramente derivata dall’inasprirsi progressivo delle misure di contenimento, e l’aspetto sociale e psicologico delle restrizioni, per quanto da più parti messo in evidenza e rimarcato, è stato in larga parte sottovalutato.
Tra gli aspetti meno presi in considerazione c’è stato sicuramente l’impatto che le restrizioni ha avuto nella popolazione dei pazienti psichiatrici, ed in particolare tra coloro che sono affetti da un DAN. Al momento solo una manciata di studi internazionali di rilievo hanno valutato le conseguenze delle misure di contenimento sulle condizioni psicopatologiche, anche per la complessità di attribuire ad una sola causa gli specifici elementi osservati.
In uno studio americano34 i 720 partecipanti ad un precedente programma osservazionale (EAT) sono stati ricontattati e sottoposti ad una valutazione testologica mirata a comprendere le potenziali associazioni tra stress, difficoltà economiche e cambiamenti nei comportamenti alimentari durante la pandemia Covid-19. Ne sono emerse diverse e talvolta contrastanti tendenze al comportamento alimentare disfunzionale. Il 53% dei partecipanti ha manifestato pattern alimentari disadattivi (es: grazing, emotional eating, alterazione della frequenza dei pasti), l’8% comportamenti estremamente disfunzionali (digiuno intermittente, iperfagia prandiale) ed il 14% soddisfaceva i criteri clinici del BED. Tali comportamenti peraltro presentavano una correlazione significativa con indici di stress elevati, sintomi depressivi e difficoltà finanziarie anche moderate.
Una metanalisi italiana35 ha passato in rassegna gli studi sul tema, mettendo in evidenza come su 3399 soggetti la maggioranza (65%) aveva mostrato durante il periodo pandemico un aggravamento della sintomatologia del DCA: di questi circa la metà aveva una sintomatologia depressiva e ansiosa.
Un altro studio svolto in Nuova Zelanda36 ha valutato l’incidenza dei DAN durante il lockdown in termini di nuove diagnosi. Ne è emersa una correlazione significativa tra la presenza di misure restrittive e un incremento sia delle nuove diagnosi di DAN che della gravità della sintomatologia clinica. Tale incremento ha interessato sia gli adulti che i più giovani, i quali peraltro mostravano una sintomatologia più acuta in termini di frequenza dei comportamenti disfunzionali e gravità degli stessi.
I DAN meritano un focus specifico durante la pandemia da Covid-19 per diversi motivi.37 In primo luogo, è evidente dai dati un aumento del rischio di insorgenza o di aggravamento dei sintomi dei DAN. Alla base di ciò, è stato ipotizzato che isolamento sociale e costrizione nell’ambiente domestico prolungati possano rappresentare sia una condizione stressogena che un fattore facilitatore di abbuffate e di comportamenti di eliminazione/compenso.
In secondo luogo, numerosi dati mettono in evidenza un aumento del rischio di infezione sintomatica da SARS-CoV-2 e di ospedalizzazioni in chi soffre di DAN, le cui conseguenze (obesità con i relativi fattori di rischio cardiovascolari e malnutrizione con la conseguente alterazione del sistema immunitario) possono costituire un fattore di vulnerabilità per lo sviluppo di sintomi dell’infezione da Covid-19.
Infine, nel corso della pandemia l’impossibilità di garantire condizioni di sicurezza per pazienti e personale sanitario ha portato alla sospensione di molte attività, soprattutto i trattamenti intensivi e la presa in carico dei pazienti in strutture residenziali mediche e psichiatriche, con ricoveri rinviati a data da definire e un elevato rischio di perdere il contatto con il paziente. Alcuni gruppi e servizi hanno attivato trattamenti online, sebbene consapevoli di una serie di problematiche e limitazioni rispetto al trattamento tradizionale e della mancanza di un’adeguata formazione degli operatori per i trattamenti a distanza.


dan e tecnologia: social network e machine learning
Negli ultimi anni l’epidemiologia del disturbo si è modificata: i social media, ormai diffusi in tutto il mondo, e l’imporsi di immagini di perfezione fisica hanno portato ad un incremento dei DAN anche nei Paesi a basso reddito.38 La letteratura internazionale ha investigato l’influenza dei social network (SN) sulla percezione dell’immagine corporea e sul comportamento alimentare. L’insoddisfazione per l’immagine corporea può sviluppare importanti conseguenze sia sul piano fisico che mentale, causando depressione, ansia, bassa auto-stima e DAN.39 Inoltre, negli ultimi anni se da un lato si è sviluppata un’importante area di ricerca sulle implicazioni psicologiche dell’utilizzo di piattaforme di SN (Facebook, Instagram, TikTok), soprattutto tra i giovani, dall’altro sono sempre maggiori gli studi che si concentrano sul possibile sfruttamento di tali piattaforme per scopi informativi e terapeutici.
Sullo stesso filone, si inserisce il machine learning (ML), una branca dell’intelligenza artificiale (AI) che si occupa di creare sistemi che, imitando l’intelligenza umana, apprendono o migliorano le performance in base ai dati che utilizzano. Il ML è una tecnologia in rapido sviluppo, sempre più diffusa nella quotidianità (social media, siti web, ecc.) e negli ultimi anni è risultata essere oggetto di forte interesse anche per i ricercatori di neuroscienze e psichiatria. Il ML è stato applicato con risultati incoraggianti nel prevedere il comportamento autolesionista40 e anticonservativo,41 l’outcome dei pazienti affetti da depressione,42,43 ansia,44 DOC45 e da first-episode psychosis,46 lo sviluppo di PTSD in seguito a un evento traumatico47 e di psicosi in soggetti clinical high-risk48 e nell’identificare disturbi psichiatrici maggiori.49 Per quanto riguarda i DAN, l’utilizzo del ML sui dati di neuroimaging sembra altrettanto promettente per la ricerca di biomarker in soggetti con DAN anche a livello subclinico.50,51 Alcuni gruppi di ricerca52,53 hanno dimostrato come tramite algoritmi ML siano praticabili l’identificazione di marker di rischio e la predizione dell’andamento longitudinale dei sintomi dei DAN sulla base dei dati clinici e demografici delle prime settimane di trattamento. Un altro promettente impiego del ML è quello di individuare, sulla base delle loro attività sui SN54 o della cronologia internet,55 soggetti ad alto rischio o affetti da DAN; un potenziale risvolto è, ad esempio, la possibilità di indirizzamento personalizzato nelle pubblicità a siti istituzionali di psicoeducazione sui DAN o ai contatti dei servizi di cura.


conclusioni
I DAN sono fenomeni psicopatologici complessi e multifattoriali con caratteristiche di cronicità, recidiva e difficoltà nel trattamento. La compresenza di altri disturbi psichiatrici e internistici e di aspetti personologici tende a complicarne la comprensione e l’inquadramento diagnostico. Le conseguenze dei DAN non sono solo di ordine mentale ma anche fisico, con alta morbilità e mortalità, e socio-relazionale.
L’attuale sistema nosografico rischia di escludere dall’attenzione clinica molti individui affetti da tipologie misconosciute, ma non per questo meno invalidanti, di DAN per cui si auspica un sempre maggior lavoro di ricerca per la loro comprensione e cura. La traiettoria dei DAN ha di recente subito l’influenza tanto della pandemia da Covid-19 quanto della tecnologia che, però, può essere un utile strumento per la ricerca e la pratica clinica.


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