La rabbia

emanuela bianciardi, cinzia niolu, alberto siracusano

Cattedra di Psichiatria, Dipartimento di Medicina dei Sistemi,

Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”




RIASSUNTO

La rabbia è un’emozione primaria che può anche avere una funzione di adattamento, utile alla sopravvivenza. La psicopatologia della rabbia è invece caratterizzata da un’alterazione dell’intensità e della regolazione emotiva che trae origine da disturbi del sistema di attaccamento-separazione. Le motivazioni sono diverse: perdita, abbandono, trascuratezza. Gli aspetti biologici, della personalità e gli eventi di vita sono responsabili delle diverse forme di rabbia che contraddistinguono molti disturbi psichiatrici rappresentando una dimensione difficile da trattare ma fondamentale per il benessere psichico dell’individuo e per l’efficacia delle terapie.

Parole chiave: rabbia, attaccamento, disturbo borderline di personalità, disturbo bipolare, aggressività, suicidio.



SUMMARY

Anger

Anger is one of the primary emotions that may have an adaptive role, helping individuals in coping with threat. On the other hand, the psychopathology of anger is characterized by a disturbance of the degree of anger and its emotional dysregulation. The attachment-separation system represents the basis of the psychopathology of anger which is conceived as a maladaptive affective and behavioral reaction to perceived loss, abandonment, and neglect. The biological aspects, personality factors and life events are responsible for the different forms of anger that develops across many psychiatric disorders. Anger represents a difficult-to treat symptoms and it is crucial for either the individual’s mental health or the effectiveness of therapies.

Key words: anger, attachment style, borderline personality disorder, bipolar disorder, aggression, suicide.



introduzione

La rabbia è un’emozione primaria e universale; è utile per comprendere noi stessi e il mondo esterno, per comunicare e per sopravvivere. Può avere quindi un ruolo adattativo, indispensabile per superare gli ostacoli, ma non può assumere il comando della nostra vita; l’autocontrollo deve necessariamente regolarne l’intensità e le modalità di espressione. Si parla di “male di rabbia”1 quando non è più una esperienza fisiologica ma diventa uno stato di malattia, una condizione che acceca, scavalca la ragione e avvelena le relazioni interpersonali, portando la persona a comportarsi in modo autodistruttivo o ad essere aggressiva e violenta.

In quest’ottica, il male di rabbia è concettualizzato come una psicopatologia del rapporto di attaccamento-separazione.1 Le motivazioni sono la perdita, il lutto e la frustrazione narcisistica; tutte collegate a un senso di abbandono che si può sperimentare nelle prime fasi della vita. Nel corso della crescita, nella successiva evoluzione della personalità dell’individuo, tutto ciò si ripercuote nella modalità di attaccamento-separazione delle relazioni adulte in cui l’abbandono, una minaccia anche “non reale”, può facilmente innescare la crisi di rabbia.

La rabbia appartiene a tutti gli esseri umani. Negli studi di Paul Ekman sulle diverse popolazioni della Terra è stato dimostrato che le espressioni facciali, a prescindere dalla cultura di appartenenza, comunicano la rabbia e le altre emozioni “di base”, in modo comprensibile, universale e a un livello preverbale.2 Le emozioni di base, come la rabbia, sono definite primarie e innate; e si differenziano da quelle secondarie, più complesse come la vergogna, che sono apprese nel corso dello sviluppo e derivano dalla combinazione di emozioni diverse, sulla base delle esperienze e delle interazioni sociali. 

Le emozioni primarie sono quindi entità discrete, indipendenti e facilmente distinguibili tra loro. Questo sistema di classificazione categoriale delle emozioni non trova però una corrispondenza tra le emozioni primarie e uno specifico substrato neurofisiologico e non spiega la presenza della psicopatologia di un’emozione, come la rabbia, in disturbi psichiatrici diversi tra loro.

Le esperienze umane e le manifestazioni cliniche dei diversi disturbi psichiatrici sono difficilmente delimitate da confini netti e, pertanto, la psicopatologia della rabbia oltrepassa le categorie diagnostiche e si manifesta come una dimensione psicopatologica presente in disturbi diversi e declinata in modo sfumato e complesso con altre dimensioni psicopatologiche.



ipotesi neurobiologiche

La dimensione psicopatologica della rabbia è il risultato di caratteristiche della personalità che si combinano con gli aspetti del funzionamento psichico e mentale individuale; l’attivazione di aree cerebrali specifiche, le risposte fisiologiche periferiche, le percezioni somatiche, l’umore, l’esperienza, gli aspetti cognitivi e motivazionali.

Gli studi di fMRI (risonanza magnetica funzionale) non hanno individuato un network neurale definito né una localizzazione cerebrale specifica della rabbia; in particolare, nello studio neurobiologico della rabbia, è difficile separare il sentimento-rabbia dalle sue conseguenze comportamentali più comuni, l’aggressività, e dagli altri sentimenti negativi che sono ad esempio stimolati dalla percezione di un ostacolo o di una minaccia.

Globalmente, gli studi di risonanza magnetica hanno dimostrato che durante l’esperienza attuale di rabbia si attiva in modo significativo l’emisfero cerebrale sinistro, in particolare la corteccia anteriore del cingolo (left-lateralized asymmetry); tale lateralizzazione si riscontra anche nella rabbia di tratto e nella reazione di rabbia aggressiva. 

La asimmetria funzionale cerebrale riflette dunque la prontezza a reagire di fronte alla provocazione ma non è così specifica per la rabbia.3

La rabbia, sia episodica che costituzionale, corrisponde all’attivazione di varie aree cerebrali che formano network multipli e che sottendono alle sue diverse componenti, ad esempio il network della salienza e l’arousal.

Si possono distinguere diverse componenti: l’eccitazione autonomica (arousal), intesa come reattività allo stress; gli aspetti cognitivi, tra cui maggiore attenzione alla “minaccia”, l’ipervigilanza e le attribuzioni ostili (salienza).

Il network della salienza è costituito dalla corteccia anteriore del cingolo (ACC), dalla corteccia insulare anteriore e anche da aree sottocorticali incluse regioni del talamo, dell’amigdala e del tronco cerebrale che servono a rilevare gli stimoli minacciosi esterni e i cambiamenti salienti dello stato fisiologico interno. Negli studi in vivo, lo stimolo della rabbia è correlato all’attivazione dell’insula anteriore, del talamo e dell’amigdala. Queste regioni cerebrali, attivate dalla minaccia, sinergicamente attivano il sistema nervoso autonomico, l’enterocezione e la risposta allo stress. I diversi studi si sono focalizzati sulla rabbia nel disturbo borderline di personalità; i pazienti sono sottoposti a un esperimento script-driven in cui si chiede di mettersi nei panni di un protagonista che viene trattato in modo irrispettoso. È interessante notare che nei campioni di autori di reato violenti non si registra l’attivazione della rete della salienza.

Un secondo network della rabbia è quello della mentalizzazione, l’elaborazione-percezione degli stati mentali, che si attiva in modalità default durante il riposo (default mode network). Il mentalizing network è tendenzialmente autoreferenziale e comprende le aree della linea mediana-parietale e frontale tra cui il precuneus, la corteccia del cingolo posteriore (PCC), prefrontale dorsale mediale (dmPFC), laterale e aree temporali-parietali.

Il sistema di autoregolazione, il self-regulation network, è un network delle funzioni esecutive che include le aree della corteccia prefrontale (PFC) mediale e laterale, l’ACC subgenuale/rostrale, il giro frontale inferiore, e la PFC dorsolaterale. La rabbia è stimolata da immagini mentali e ricordi autobiografici che attivano le diverse aree corticali prefrontali coinvolte nelle funzioni esecutive (selezione della risposta) e nel controllo del comportamento. Gli autori di reato violenti sperimentano sentimenti di rabbia più pronunciati, mostrano una maggiore attivazione nel network di autoregolazione e minore attivazione della mentalizzazione rispetto ai controlli sani.

Gli individui con una migliore regolazione della rabbia (self-regulation network) mostrano una maggiore attivazione della PFC e una minore attivazione dell’area del locus coeruleus del tronco cerebrale (salienza).

Oltre al sistema di auto-regolazione, il network della ricompensa, reward network, è coinvolto nel controllo della rabbia. Negli studi sperimentali in cui i partecipanti osservano una situazione-modello di rabbia al computer e contemporaneamente si registra l’attività cerebrale, i pazienti con tratti di rabbia marcata, che sono “provocati” ad accettare offerte sleali, scelgono di premere il pulsante per ottenere denaro in modo sleale invece di premere il pulsante che serve ad attivare ritorsioni; inoltre questa scelta di aumentare il guadagno monetario è correlata ad un’aumentata connessione tra il sistema limbico e quello prefrontale.

Ciò suggerisce che, durante la crisi di rabbia, se ad un paziente viene offerta un’alternativa associata alla ricompensa questo aiuta ad attenuare sia la rabbia che l’aggressività. Il coinvolgimento del network della ricompensa è correlato all’attivazione del putamen, del caudato e del globo pallido.

Come è stato accennato, la connettività funzionale tra i network cerebrali della rabbia è diversa negli autori di reato rispetto ai pazienti affetti da disturbi psichiatrici (come il disturbo borderline) e ai controlli sani, e risulta dunque associata con comportamenti differenti di espressione e di regolazione della rabbia.



le funzioni della rabbia

La rabbia può aumentare il senso di auto-efficacia, segnalare lo stato emotivo della persona agli altri, comunicare i sentimenti negativi e catalizzare l’attenzione su un avvenimento che si sta verificando e che potrebbe rappresentare una minaccia.

La funzione fisiologica della rabbia è dunque da ricercarsi all’interno del sistema di “lotta o fuga”; la rabbia permette di rispondere ad un determinato stimolo-pericolo, causando una reazione a situazioni specifiche che, in assenza di rabbia, spaventerebbero, costringendo l’individuo alla fuga senza affrontare la situazione. In quest’ottica, è utile alla sopravvivenza; d’altra parte, quando diventa pervasiva e non si spegne al termine del contesto che la ha scaturita, oppure non è riconducibile a nessun evento scatenante, è uno svantaggio per chi ne fa esperienza e conduce a comportamenti spropositati e dannosi. 

Quando si manifesta in modo “appropriato”, con livelli accettabili e nel giusto contesto, può arrecare benefici, rimuovere le barriere che ostacolano il raggiungimento degli obiettivi. Tuttavia, alcuni individui hanno difficoltà a esprimere la rabbia in modo appropriato e, nel tentativo di affrontare una presunta minaccia, diventano vittime della rabbia.4 

Esiste un ampio spettro di stili di espressione della rabbia che, come detto, può essere di aiuto nelle situazioni sociali e, ad esempio, nelle fasi di una negoziazione. Anche quando rappresenta un’esperienza negativa, si può presentare in combinazione con aspetti psichici e motivazionali positivi, come maggiore prontezza, forza, fiducia, determinazione e orgoglio. La rabbia rende ottimisti sul raggiungimento del risultato, spingendo le persone a correre più rischi. In altre parole, può aumentare le probabilità di successo, facendo sentire l’individuo capace di modificare la situazione.

Rispetto al passato, dove l’espressione della rabbia e l’esibizione di forza contribuivano a stabilire dominio e leadership, regolare la rabbia è determinante per ottenere un risultato sociale.

La rabbia viene comunicata agli altri attraverso i cosiddetti “indicatori esterni”, come le espressioni facciali, la postura, la prosodia vocale; l’autoregolazione può verificarsi alterando alcuni o tutti questi elementi.

Sono pochissimi gli “indicatori interni” fisiologici che si possono misurare e che permettono di differenziare la rabbia dalle altre emozioni. Stemmler5 ha decritto la fisiologia somato-viscerale della rabbia; ad esempio, l’attivazione alfa-adrenergica e l’aumento della pressione sanguigna sono correlate alla prontezza a reagire tipica della rabbia.

La rabbia è spesso considerata un’emozione negativa e, nella maggior parte dei casi, si accompagna ad un cambiamento comportamentale di “attivazione” alla lotta e a segnali somatici evidenti, a differenza di altre emozioni negative, come la tristezza e la paura che si associano a comportamenti di inibizione e ritiro, rispettivamente.

La rabbia è stata descritta come “retrospettivamente spiacevole”: quando si guarda indietro alla causa scatenante e “prospetticamente piacevole”: quando si contemplano azioni future motivate dalla causa della rabbia.6 

Secondo questo approccio cognitivo-motivazionale delle emozioni,7 la rabbia è legata alla percezione/valutazione di una “trasgressione” e alla tendenza all’azione che serve a contrastare o ad annullare quella data trasgressione con comportamenti che possono variare dalla resistenza alla ritorsione.



forme di rabbia

La rabbia può essere differenziata in termini di intensità e forma. Come intensità può variare dall’irritazione al fastidio, dalla furia fino alla rabbia incontrollabile; come forma, può assumere la forma di uno stato d’animo passeggero o caratterizzare il temperamento. Si può parlare di episodi transitori o accessi di rabbia; momenti di rabbia relativamente lieve ma prolungata nel tempo (stato d’animo-umore) o di temperamento irritabile con forte propensione ad attacchi ricorrenti di rabbia.8 Così, nel vario e sfumato vocabolario della rabbia, parole come rabbia e furia riflettono le esplosioni fasiche della rabbia, mentre irritabilità e irascibilità descrivono la rabbia continua o tonica. Un’ulteriore differenza riguarda l’ostilità, che fa riferimento a una condizione di disposizione alla rabbia, con cui prevalentemente ci si esprime piuttosto che una di rabbia situazionale.9 Gli individui differiscono anche nella soglia e nella latenza delle loro tipiche risposte di rabbia, in questo caso con correlati fisiologici misurabili.

 Al centro della caratterizzazione psicologica della rabbia c’è la distinzione tra esperienza ed espressione.10 La prima si riferisce ai sentimenti soggettivi della persona, mentre la seconda riguarda come la rabbia viene percepita dagli altri o comunicata. Due grandi campanelli d’allarme che la rabbia ha raggiunto un livello patologico sono l’aggressività, che è un comportamento fisico o verbale inteso a ferire, e la violenza, che è un comportamento che intenzionalmente culmina in lesioni fisiche reali o danno.

Nell’escalation della rabbia, l’autoregolazione emotiva può fallire e l’esibizione della rabbia può culminare in un comportamento aggressivo. Questa aggressività può essere così rapida come se seguisse una “scorciatoia”, in modo da manifestarsi apparentemente senza un’escalation osservabile o la mediazione di inibizioni cognitive.

Anche se spesso presi come proxy della rabbia, l’aggressività e la violenza possono essere comportamenti strumentali, come in una rapina a mano armata che non deve necessariamente comportare rabbia. La rabbia, funzionale o disfunzionale, può manifestarsi in assenza di comportamenti aggressivi o violenti e viceversa. Questo è importante clinicamente perché molti pazienti si presentano con difficoltà nell’affrontare emozioni che non sono espresse apertamente.

I sentimenti di rabbia tendono a essere sgradevoli sia per il destinatario che per il rispondente; quando diventano disadattivi e dannosi per il benessere individuale e/o l’armonia sociale è necessario l’intervento clinico.

La rabbia di tratto, l’ostilità e gli episodi di rabbia acuta sono associati a conseguenze negative per la salute, comprese le malattie cardiovascolari e la percezione più elevata dell’intensità del dolore,11 gli stili di vita non salutari, l’iperalimentazione, l’uso di alcol e il fumo.12 

È stato messo in evidenza il ruolo centrale della rabbia nelle relazionali familiari problematiche e nel disagio coniugale.13 In quest’ottica, risulta cruciale effettuare la valutazione clinica della rabbia, come potenziale fonte di malattia e di disagio interpersonale e sociale.



rabbia e attaccamento

Imparare a regolare le emozioni è un compito importante che si apprende con lo sviluppo ed è fondamentale per instaurare relazioni soddisfacenti in età adulta, per il benessere psichico e per le competenze sociali. I legami di attaccamento sono il perno attorno a cui ruota la regolazione emotiva. Il legame di attaccamento adulto spinge a ricercare il contatto e la vicinanza di una persona specifica, soprattutto in situazioni particolari: stress, novità, percezione di un pericolo. Secondo la teoria dell’attaccamento di Bowlby,14 la figura di attaccamento infantile, il caregiver, promuove nel bambino l’esplorazione del mondo in condizioni sicure, garantite dalla sua disponibilità, e offre protezione in caso di pericolo. I sentimenti di sicurezza del bambino derivano dalla presenza del caregiver, in genere il genitore, dalla sua accessibilità e dal sentirlo emotivamente vicino. Questo comportamento di “base sicura” diventa automatico nel bambino e riduce l’angoscia della separazione dai genitori. La minaccia della mancanza di disponibilità del genitore o della perdita della figura di attaccamento suscita angoscia, paura, tristezza, disperazione e rabbia. La paura attiva il sistema di attaccamento in modo che l’individuo possa ristabilire il contatto con il caregiver. La rabbia diretta verso una figura di attaccamento e l’angoscia, sia da parte di un bambino che di un adulto, sono la risposta a una frustrazione, la minaccia della perdita. Secondo Bowlby, la rabbia può scaturire non solo da situazioni con rischio elevato di distacco, perdita e dolore ma anche quando la persona percepisce il rischio che ciò avvenga. L’espressione della rabbia serve a riavvicinare la figura di attaccamento ma può al contrario diventare disfunzionale quando è patologica. Le differenze individuali nella rabbia e nella capacità di regolazione dipendono dunque da fattori biologici, di personalità e dalla storia delle relazioni interpersonali che è influenzata dallo stile di attaccamento. 



psicopatologia della rabbia

Decidere quando la rabbia sia da considerare un fenomeno patologico vuol dire pesarne i diversi aspetti, tra cui appropriatezza, frequenza, intensità e durata rispetto al contesto. La rabbia violenta e aggressiva è tipicamente considerata aberrante o problematica, anche quando non comporta conseguenze legali. Il medico ha il compito di valutare le differenze individuali nell’esperienza e nei comportamenti di rabbia entro i limiti delle aspettative e delle normative culturali.

La rabbia “patologica” non è una malattia come l’ansia e la depressione, è un sintomo, uno degli aspetti salienti di alcune patologie a cui può far seguito un comportamento distruttivo verso sé stessi o verso gli altri.1 L’irritabilità, nel lungo termine, è un fattore di rischio di depressione15 e suicidio.16 

È importante sottolineare che la rabbia non conduce necessariamente ai, né è il prodromo dei comportamenti aggressivi. A livello teorico e clinico, rabbia e aggressività si possono isolare e presentare in modo indipendente, come nel caso della rabbia nei contesti culturali più elevati e dell’aggressività lucida e pianificata.

Esistono ampie differenze individuali nelle motivazioni e nelle manifestazioni della rabbia e lo stesso individuo può regolarne i segnali, le espressioni e i comportamenti in contesti differenti. Ad esempio, una personalità meticolosa-ossessiva può sperimentare la rabbia perché tende a sovrastimare l’importanza di dettagli poco rilevanti, mentre chi soffre di bassa autostima potrà interpretare le situazioni come minacciose, reagendo con rabbia. Wranik e Scherer17 distinguono sfumature diverse di rabbia; in particolare, differenziano tra rabbia costruttiva, tendenza alla distruttività e litigiosità.

La rabbia è il sintomo cardine di cinque disturbi psichiatrici: il disturbo bipolare, il disturbo esplosivo intermittente, il disturbo oppositivo provocatorio, il disturbo da disregolazione dell’umore dirompente, il disturbo di personalità borderline. Inoltre, può manifestarsi e complicare il decorso e il trattamento di altri disturbi come la depressione unipolare e i disturbi correlati al trauma ed è, come accennato, un fattore di rischio di comportamenti suicidari.



disturbo bipolare

Sebbene gran parte della ricerca sulle emozioni nel disturbo bipolare si sia concentrata sull’euforia, la rabbia è un sintomo cardine per la diagnosi nel DSM. L’irritabilità e la rabbia patologica possono rappresentare sia i prodromi che i sintomi di esordio del disturbo e si manifestano negli episodi depressivi, ipomaniacali, maniacali e soprattutto in quelli misti. ll livello di rabbia durante gli episodi depressivi del disturbo bipolare è doppio rispetto a quello registrato nella depressione unipolare.18 Un grado elevato di rabbia è comune negli intervalli “liberi” tra un episodio e un altro ed è spesso riscontrato durante il follow-up. Infine, nei pazienti con disturbo ciclotimico sono stati documentati tratti di rabbia più marcati.19

Inoltre, la rabbia è tipica del disturbo bipolare nei bambini e negli adolescenti. La rabbia è quindi un sintomo chiave dei disturbi dello spettro bipolare che caratterizza sia l’età evolutiva che quella adulta. Bisogna prestare particolare attenzione alla rabbia nei bambini che è stata in passato interpretata come un fattore predittivo per lo sviluppo di un disturbo bipolare in età adulta. La recente letteratura ha invece dimostrato che la rabbia di stato e di tratto nei bambini è un fattore di rischio per lo sviluppo di depressione unipolare e disturbo d’ansia generalizzata in età adulta; infatti, solo nel 9% dei casi si svilupperebbe un disturbo bipolare, il cui fattore di rischio principale è la familiarità.



disturbo esplosivo intermittente

Il disturbo esplosivo intermittente (DEI) è causato da episodi di rabbia o aggressività impulsiva sproporzionati alla eventuale provocazione ricevuta. Nell’intervallo tra una esplosione e l’altra, è possibile che si verifichino episodi di intensità minore. I criteri principali del DEI secondo il DSM-5 sono i seguenti:

molteplici episodi di impossibilità a resistere agli impulsi aggressivi che hanno comportato la distruzione intenzionale di proprietà o di aggressione di un’altra persona;

un certo grado di aggressività in caso di incidenti che è completamente sproporzionato all’evento che ha attivato il comportamento;

episodi aggressivi che non sono giustificati da un altro disturbo mentale e non sono dovuti agli effetti di un farmaco o di una condizione medica;


A differenza dell’aggressione premeditata e finalizzata a scopi criminali, sono considerati affetti da DEI soltanto coloro che reagiscono in modo eccessivo ad un impulso improvviso e incontrollato. Per definizione, questi pazienti non riescono a resistere all’impulso, la tensione cresce sempre di più fino a determinare il comportamento esplosivo. Spesso, la fonte della possibile provocazione è all’interno del nucleo familiare, con conseguenze tragiche sull’equilibrio domestico.

I ricercatori hanno condotto studi sulla natura della rabbia e dell’aggressività in soggetti affetti da DEI. Finora tutti concordano sulla grande eterogeneità di questa popolazione clinica. Uno studio condotto su oltre 350 individui ha consentito di individuare due gruppi di pazienti: la grande maggioranza, circa il 70%, è caratterizzata da comportamenti aggressivi frequenza e intensi; una percentuale inferiore, pari al 30 %, è caratterizzata da episodi di intensità e frequenza medio - bassa. Questa eterogeneità clinica richiede opzioni diverse di trattamento, che variano in base alle caratteristiche del paziente. 

I risultati di un ampio studio epidemiologico americano – the National Comorbidity Survey – Replication Study (NCS – R), hanno evidenziato che la prevalenza lifetime, di DEI era del 7,3%.20 Il DEI non risulta correlato alla scolarizzazione, può interessare in modo trasversale laureati e persone senza titolo di studio. Un fattore demografico significativo risulta l’età; in modo tipico si manifesta con un picco in adolescenza che declina in età adulta. Inoltre, ha una maggiore prevalenza nei maschi rispetto alle femmine. 

In linea con quanto già descritto riguardo alla psicopatalogia della rabbia, il “male di rabbia” come patologia della relazione di attaccamento, emerge chiaramente che il DEI è in relazione con bassi livelli di coinvolgimento dei genitori nei problemi e nelle dinamiche dei figli, scarse cure genitoriali, maltrattamenti e traumi in età evolutiva.

In particolare, i maltrattamenti infantili, in associazione con una storia familiare di attacchi di rabbia, rappresentano un fattore di rischio di maggiore gravità per lo sviluppo in età adulta del DEI.

Gli studi sui fattori di rischio biologici hanno dimostrato che esiste una correlazione inversa tra l’aggressività impulsiva e i livelli di serotonina; più un soggetto è aggressivo, minore è l’attività di questo neurotrasmettitore. I farmaci antidepressivi inibitori del re-uptake della serotonina sono in grado di ristabilire i livelli serotoninergici, svolgendo un ruolo terapeutico nel moderare la rabbia.

Un altro filone di ricerca ha invece dimostrato che i pazienti affetti da DEI sono più suscettibili agli stimoli visivi e uditivi, come dimostrato da studi di elettroencefalografia; in un certo senso il loro cervello reagisce di più ai segnali che riceve dall’esterno, è maggiormente responsivo. Le cellule cerebrali sono quindi più facilmente risvegliabili, rendendo questi pazienti più vulnerabili a reagire rabbiosamente a stimoli che altrimenti passerebbero inosservati. Infine, ci sono dati che sostengono l’ipotesi di un maggiore stress ossidativo nel cervello. La ricerca quindi si orienta su una combinazione, purtroppo fatale, di eventi personali come traumi e maltrattamenti e correlati biologici.



disturbo oppositivo provocatorio

Il disturbo oppositivo provocatorio (Oppositional Defiant Disorder – ODD) è definito come un comportamento “negativo, ostile e provocatorio” della durata di almeno sei mesi; due degli otto criteri necessari per la diagnosi secondo il DSM si riferiscono specificamente all’irritabilità: perdere la pazienza, essere permaloso o facilmente infastidito; altri sono fortemente indicativi di rabbia: essere dispettosi o vendicativi, arrabbiati e risentiti, litigare con gli adulti. Quindi, quasi per definizione, tutti i bambini che soddisfano i criteri per il ODD presentano disturbi legati alla rabbia. La cronicità e l’esordio precoce sono coerenti con l’idea che questo disturbo può essere concettualizzato come un disturbo del temperamento. In altre parole, la rabbia ricorre così frequentemente da suggerire una propensione a quella determinata emozione piuttosto che una fluttuazione transitoria dell’umore. I bambini affetti da ODD possono inoltre avere una carenza di insight, in quanto spesso appaiono arrabbiati, conflittuali e inclini a incolpare gli altri senza accettare la responsabilità personale.

La differenza con il disturbo da deficit di attenzione/iperattività è che i criteri relativi alla rabbia son sono soddisfatti solo nelle situazioni che richiedono uno sforzo e un’attenzione costanti. Al contrario del DEI, in cui sono presenti alti livelli di rabbia, nell’ODD sono assenti i comportamenti aggressivi.

Secondo il modello transazionale di ODD,21 la relazione genitore-figlio (o altri caregiver) e in particolare la risposta del genitore ai comportamenti oppositivi del bambino può esacerbare la frustrazione e la rabbia del bambino fino al punto di entrare in un circolo vizioso e disadattivo nel quale adulto e bambino sono bloccati nel conflitto.



il disturbo da disregolazione dell’umore dirompente 

Il Disturbo da disregolazione dell’umore dirompente, in inglese Disruptive Mood Dysregulation Disorder (DMDD), è stato introdotto nella nosografia psichiatrica per la prima volta nel 2013, con l’introduzione del DSM-5. Il disturbo da disregolazione dell’umore dirompente si caratterizza essenzialmente per una cronica, grave e persistente irritabilità, che si esprime principalmente attraverso due tipi di manifestazioni:

1) scoppi di collera verbali e comportamentali improvvisi contro cose e persone (danneggiamento di oggetti o proprietà altrui, aggressione fisica di coetanei, genitori, insegnanti, ecc.), in risposta a una profonda frustrazione interna, con o senza cause scatenanti riconoscibili;

2) un umore irritabile e “arrabbiato”, mantenuto in modo costante e persistente tra uno scoppio di collera e l’altro.


La persistente irritabilità distingue questo disturbo dai due precedenti che abbiamo trattato. Sono bambini e adolescenti, di età compresa tra i 6 e i 18 anni, generalmente con esordio prima dei 10. Le stime di prevalenza sono intorno all’1%, ma la difficoltà a fare una diagnosi corretta e facilmente replicabile condiziona frequentemente questo dato. Ci sono degli studi che hanno messo in discussione l’affidabilità di questa diagnosi, sottolineando la somiglianza con il disturbo bipolare o l’ODD. Non c’è dubbio però che la combinazione tra irritabilità cronica e scoppi di rabbia individua una popolazione clinica differente dalle altre, con un proprio decorso di malattia e una propria peculiarità sintomatologica.



disturbo borderline di personalità

La diagnosi DSM-5 del disturbo borderline di personalità (BPD) richiede la presenza di almeno 5 criteri su 9, di cui uno è rabbia intensa e inappropriata, un altro è l’instabilità affettiva che può manifestarsi come irritabilità. Questi sintomi sono considerati molto comuni e difficili da trattare.

La rabbia e la relativa instabilità affettiva tendono ad essere altamente correlati con la tendenza a comportamenti autodistruttivi e con il rischio di suicidio.22 In due studi di pazienti ricoverati con diagnosi di BPD, dall’87% all’89,2% hanno riportato preoccupazioni significative sulla rabbia al momento del ricovero.23,24 Alle valutazioni di follow-up a 2 e 10 anni, la metà dei pazienti continuava a manifestare significativi livelli di rabbia.

I ricercatori hanno anche condotto studi per esaminare la durata e l’intensità della rabbia all’interno del BPD. In uno studio, ai partecipanti è stato chiesto di assumere la prospettiva del protagonista in un racconto di rabbia. Sebbene quelli affetti da BPD non differissero nella valutazione dell’intensità della rabbia, la persistenza nel tempo era più duratura nei pazienti con BPD rispetto al gruppo di controllo.25

Sono stati suggeriti diversi modelli per spiegare la rabbia all’interno del BPD. È stato sottolineato come la rabbia sia spesso innescata da vissuti reali o immaginari abbandono. I partner diventano spesso oggetto di rabbia, nel corso di relazioni instabili e intense. Ciò è in contrasto con la rabbia tipica del DEI che solitamente non si presenta in risposta alle situazioni interpersonali. In linea con la teoria che la rabbia sia strettamente legata alla percezione di un rifiuto interpersonale, i pazienti con BPD riportano una estrema sensibilità al rifiuto, con una rapida latenza di elaborazione della rabbia. Inoltre, al di là della elevata sensibilità agli evidenti segnali di rifiuto, la persona affetta da BPD è incline a percepire tali segnali anche quando questi non sono presenti.

È stato dimostrato che il paziente che soffre di BPD è più veloce nell’identificare la rabbia nei volti, ma è anche incline a percepire la rabbia nei volti in cui non è presente alcuna prova oggettiva di rabbia.26 Presi insieme, questi dati supportano l’importanza della ipersensibilità al rifiuto nella patogenesi della rabbia nel BPD. È stato evidenziato che la paura dell’abbandono nel BPD era associata con lo stile di attaccamento insicuro, di tipo preoccupato, irrisolto o disorganizzato.27 Di conseguenza, la rabbia del BPD affonda le sue radici in un ambiente familiare ostile e caratterizzato da trascuratezza emotiva-neglect.28 Ciò è in linea con i risultati di uno studio su gemelli in cui è stata documentata una correlazione fenotipica significativa tra BPD e rabbia di tratto e in cui le influenze ambientali avevano un peso simile a quelle genetiche.29 Un ampio corpo di ricerca sulla BPD mette in evidenza una disregolazione emotiva generale alla base della scarsa capacità di regolazione della rabbia;30 la rabbia sarebbe dunque concettualizzata come uno dei numerosi indicatori di affettività negativa all’interno BPD.30 Altri correlati di disregolazione emotiva nella BPD, sono alterazioni funzionali nella corteccia prefrontale, le avversità precoci (storia familiare di disturbi del controllo degli impulsi e disturbi dell’umore), la disinibizione, il deficit di inibizione della risposta motoria volontaria e il bias attentivo.30

Un ulteriore modello teorico suggerisce che quando i pazienti con BPD sperimentano livelli insopportabili di vergogna, sostituiscono la vergogna con un’emozione più potente che sarebbe la rabbia. La rabbia e la ruminazione su pensieri di rabbia sono un mediatore tra la vergogna e i sintomi di BPD.31

La prognosi del BPD è influenzata dal livello di rabbia e dalle sue ripercussioni sulle relazioni; a loro volta, questi conflitti sembrano avere importanti conseguenze sulle fasi di scompenso clinico e sul rischio di autolesionismo. In un ampio studio epidemiologico, i sintomi di BPD sono stati correlati ad un aumentato rischio di violenza domestica e divorzi.32 In conclusione, la regolazione della rabbia è un obiettivo centrale nel trattamento della BPD.



depressione

La repressione della rabbia è centrale anche nello sviluppo della depressione cronica,33 in cui l’anedonia è tra i sintomi “core”. L’anedonia cronica, tuttavia, può effettivamente rappresentare solo la "punta dell’iceberg". Alla base dell’anedonia potrebbe esserci un profondo deficit della regolazione emotiva, soprattutto rispetto alla rabbia, che non necessariamente è vissuta in modo consapevole dall’ individuo.

 L’opinione classica è che la rabbia in una persona depressa sia specificamente rivolta al senso di autostima e si manifesti attraverso sentimenti di impotenza, vergogna e umiliazione. Di conseguenza, chi soffre di depressione può allontanarsi dalle relazioni più strette, non trovare soddisfazione nel lavoro, o non riuscire a gioire di attività abitualmente piacevoli. Inoltre, gli individui con depressione sono suscettibili a problemi di regolazione emotiva, soprattutto della rabbia che può essere troppo sotto controllo.



rabbia e suicidio

Esistono diverse prove a sostegno della correlazione tra rabbia e suicidio. I pazienti affetti da disturbi psichiatrici con livelli elevati di rabbia presentano un rischio suicidario maggiore.34 Inoltre, come visto precedentemente, in molti disturbi psichiatrici associati al rischio di suicidio, la rabbia è un sintomo nucleare (disturbo borderline, disturbo bipolare). Il livello clinico di rabbia permette di predire se un paziente con storia di disturbo psichico metterà in atto un tentativo di suicidio.35 La presenza di elevati livelli di rabbia è associata in modo significativo ad un maggiore rischio di autolesionismo. La rabbia rappresenta un campanello d’allarme sia per i clinici che per i familiari: ad esempio, quando ci troviamo di fronte a un paziente depresso, il fatto che provi molta rabbia verso sé stesso, o, meno comunemente, verso gli altri, rappresenta un segnale, un campanello di allarme da non sottovalutare. Spesso questa rabbia è inespressa, e quindi non facilmente riconoscibile, il che per molti versi è ancora peggio, perché viene scambiata per rassegnazione. Il punto è che la rabbia, soprattutto se inespressa, se non trova un fisiologico canale di sbocco, alimenta angoscia e può innescare il passaggio all’atto suicidario.



rabbia e trauma

Come nasce la rabbia dopo un trauma? Vi sono diverse possibilità. Essere stati vittime di violenza, ad esempio aver subito un abuso fisico, può scatenare rabbia verso l’aggressore, accanto a sentimenti di impotenza e umiliazione. Talora, però, si generano delle cognizioni negative, vergogna, senso di colpa, autosvalutazione: in un certo senso, è come se la vittima sentisse di “aver meritato” la violenza subita. Non a caso, spesso chi subisce una violenza fa molta fatica a parlarne e spesso riesce a trovare le parole solo dopo molto tempo. Alla rabbia verso l’aggressore si unisce così la rabbia generata dalla propria colpevolizzazione. L’ostilità si internalizza e si rivolge tutta verso il soggetto, “divenuto colpevole” dell’abuso ricevuto. Una colpa per di più spesso ritenuta inconfessabile, di cui vergognarsi, e quindi ancora più difficile da allontanare.



conclusioni

La rabbia può compromettere le relazioni interpersonali, la famiglia e il lavoro, è un’emozione che segnala una minaccia e che aiuta a superare gli ostacoli e a raggiungere gli obiettivi. La rabbia è un’emozione cruciale nella nostra vita, sopprimerla può causare stati depressivi, sperimentarla in modo intenso determina sofferenza e può risultare in comportamenti aggressivi e distruttivi. Non è sempre semplice ricondurre la rabbia a un evento specifico, più frequentemente la psicopatologia della rabbia deriva da una complessa interazione di fattori biologici, personologici ed eventi di vita. Ciò nonostante, la valutazione clinica ed eziologica della rabbia è un passo fondamentale per il trattamento di diversi disturbi psichiatrici e per il benessere psichico del paziente.



BIBLIOGRAFIA

1. Siracusano A. Ira funesta. Milano: Mondadori, 2019.

2. Friesen Wv, Ekman P. Giù la maschera. Come riconoscere le emozioni dall’espressione del viso. Firenze: Giunti Psychometrics, 2007.

3. Alia-Klein N, Gan G, Gilam G, et al. The feeling of anger: from brain networks to linguistic expressions. Neurosci Biobehav Rev 2020; 108: 480-97.

4. Morey LC. Hopwood CJ, Klein, DN. Passive-aggressive, depressive, and sadistic personality disorders. In: O’Donohue W, Fowler KA, Lilienfeld SO (eds.). Personality disorders: toward the DSM-V New York: Sage Publications, Inc., 2013; pp. 353-374. https://doi.org/10.4135/9781483328980.n13

5. Stemmler G. Somatovisceral activation during anger. International handbook of anger: constituent and concomitant biological, psychological, and social processes. New York, NY: Springer Science + Business Media, 2010; pp. 103-121.

6. Harmon-Jones C, Schmeichel BJ, Mennitt E, Harmon-Jones E. The expression of determination: similarities between anger and approach-related positive affect. J Pers Soc Psychol 2011; 100: 172-81.

7. Lazarus RS. Cognitive-motivational-relational theory of emotion. In: Hanin YL (ed.). Emotions in sport. Champaign, IL: Human Kinetics, 2000; pp. 39-63.

8. Fernandez E, Kerns RD. Anxiety, depression, and anger: the core of negative affect in medical populations. In: Boyle GJ, Matthews D, Saklofske D (eds.). International handbook of personality theory and testing: Vol. 1: Personality theories and models. London: Sage, 2008; pp. 659-676.

9. Ramírez JM, Andreu JM. Aggression, and some related psychological constructs (anger, hostility, and impulsivity); some comments from a research project. Neurosci Biobehav Rev 2006; 30: 276-91.

10. Spielberger CD, Reheiser, EC, Sydeman SJ. Measuring the experience, expression, and control of anger. In: Kassinove H (ed.). Anger disorders: definition, diagnosis, and treatment Washington, DC: Taylor & Francis, 1995; pp. 49-67.

11. Burns JW, Gerhart JI, Bruehl S, et al. Anger arousal and behavioral anger regulation in everyday life among patients with chronic low back pain: relationships to patient pain and function. Health Psychol 2015; 34: 547-55.

12. Izawa, S Nomura S. The relationship of hostility to health related behaviors, obesity, and hypertension in adolescence. J Health Psychol 2006; 19: 11-9.

13. Renshaw KD, Blais RK, Smith TW. Components of negative affectivity and marital satisfaction: the importance of actor and partner anger. J Res Pers 2010; 44: 328-34.

14. Bowlby J. Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Milano: Raffaello Cortina Editore, 1989.

15. Brotman MA, Schmajuk M, Rich BA, et al. Prevalence, clinical correlates, and longitudinal course of severe mood dysregulation in children. Biol Psychiatry 2006; 60: 991-7.

16. Pickles A, Aglan A, Collishaw S, Messer J, Rutter M, Maughan B. Predictors of suicidality across the life span: the Isle of Wight study. Psychol Med 2010; 40: 1453-66.

17. Wranik, T, Scherer KR. Why do I get angry? A componential appraisal approach. In: Potegal M, Stemmler G, Spielberger C (eds.). International handbook of anger: Constituent and concomitant biological, psychological, and social processes (pp. 243-266). New York, NY: Springer Science + Business Media, 2010. https://doi.org/10.1007/978-0-387-89676-2_15

18. Perlis RH, Smoller JW, Fava M, Rosenbaum JF, Nierenberg AA, Sachs GS. The prevalence and clinical correlates of anger attacks during depressive episodes in bipolar disorder. J Affect Disord 2004; 79: 291-5.

19. Kwapil TR, DeGeorge D, Walsh MA, Burgin CJ, Silvia PJ, Barrantes-Vidal N. Affective temperaments: unique constructs or dimensions of normal personality by another name? J Affect Disord 2013; 151: 882-90. 

20. Kessler RC, Merikangas KR. The National Comorbidity Survey Replication (NCS-R): background and aims. Int J Methods Psychiatr Res 2004; 13: 60-8.

21. Greene RW, Ablon JS, Goring JC. A transactional model of oppositional behavior: underpinnings of the Collaborative Problem Solving approach. J Psychosom Res 2003; 55: 67-75.

22. Evren C, Cınar O, Evren B, Celik S. History of suicide attempt in male substance-dependent inpatients and relationship to borderline personality features, anger, hostility and aggression. Psychiatr Res 2011; 190: 126-31.

23. McGlashan TH, Grilo CM, Sanislow CA, et al. Two-year prevalence and stability of individual DSM-IV criteria for schizotypal, borderline, avoidant, and obsessive-compulsive personality disorders: toward a hybrid model of axis II disorders. Am J Psychiatry 2005; 162: 883-9.

24. Zanarini MC, Frankenburg FR, Reich DB, Silk KR, Hudson JI, McSweeney LB. The subsyndromal phenomenology of borderline personality disorder: a 10-year follow-up study. Am J Psychiatry 2007; 164: 929-35. 

25. Jacob GA, Guenzler C, Zimmermann S, et al. Time course of anger and other emotions in women with borderline personality disorder: a preliminary study. J Behav Ther Exp Psychiatry 2008; 39: 391-402.

26. Veague HB, Hooley JM. Enhanced sensitivity and response bias for male anger in women with borderline personality disorder. Psychiatry Res 2014; 215: 687-93.

27. Morse JQ, Hill J, Pilkonis PA, et al. Anger, preoccupied attachment, and domain disorganization in borderline personality disorder. J Pers Disord 2009; 23: 240-57.

28. Neacsiu AD, Eberle JW, Kramer R, Wiesmann T, Linehan MM. Dialectical behavior therapy skills for transdiagnostic emotion dysregulation: a pilot randomized controlled trial. Behav Res Ther 2014; 59: 40-51.

29. Distel MA, Middeldorp CM, Trull TJ, Derom CA, Willemsen G, Boomsma DI. Life events and borderline personality features: the influence of gene-environment interaction and gene-environment correlation. Psychol Med 2011; 41: 849-60.

30. Carpenter RW, Trull TJ. Components of emotion dysregulation in borderline personality disorder: a review. Curr Psychiatry Rep 2013; 15: 335.

31. Peters JR, Geiger PJ, Smart LM, Baer RA. Shame and borderline personality features: the potential mediating role of anger and anger rumination. Personal Disord 2014; 5: 1-9.

32. Whisman MA, Schonbrun YC. Social consequences of borderline personality disorder symptoms in a population-based survey: marital distress, marital violence, and marital disruption. J Pers Disord 2009; 23: 410-5. 

33. Greenberg, LS, Paivio S. Working with emotions in psychotherapy. New York: Guilford Press, 1997.

34. Horesh N, Rolnick T, Iancu I, et al. Anger, impulsivity and suicide risk. Psychother Psychosom 1997; 66: 92-6. 

35. Kotler M, Finkelstein G, Molcho A, et al. Correlates of suicide and violence risk in an inpatient population: coping styles and social support. Psychiatry Res 1993; 47: 281-90.